È anche un problema lessicale. Se infatti l’accordo lo fanno Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, l’accusa di inciucio non gliela leva nessuno. Ma se al posto dell’ex Cav ci sta Matteo Salvini l’epiteto è sempre lo stesso?

E’ anche un problema lessicale. Se infatti l’accordo lo fanno Renzi e Berlusconi, l’accusa di inciucio non gliela leva nessuno. Ma se al posto dell’ex Cav ci sta Salvini, se la liaison la racchiude una “e commerciale” messa lì come fiore d’arancio che celebra l’unione Matteo& Matteo, l’epiteto è sempre lo stesso? Mah. Forse basta aggiungere “democratico”, e tutto si aggiusta. O forse no.

Nell’attesa non resta che registrare, e cercare di decifrare, l’ennesima sorpresa che il panorama politico italiano riserva: la riedizione sotto forme fortunatamente assai meno inquietanti, del patto Molotov-Ribbentrop che fu stilato nel 1939 per spartirsi la Polonia e dare il via al secondo conflitto mondiale. I sottoscrittori sarebbero il leader del Pd e il capo leghista; la spartizione riguarderebbe le spoglie elettorali di Berlusconi e di FI, bottino più che sostanzioso; e il conflitto sarebbe quello finale sul nuovo meccanismo di voto per chiudere definitivamente la legislatura e andare alle elezioni.

Del resto, che Renzi e Salvini possano trovarsi d’accordo su qualcosa è già notizia di per sè. Se poi la convergenza riguarda la madre di tutte le leggi, allora l’evento assurge al rango di breaking news.

Bene. Fatta salva la data di nascita - Salvini il 1973, Renzi il 1975 l’alleanza è politicamente innaturale ma possiede indubbi tratti di reciproca convenienza.

Matteo 1, lasciato palazzo Chigi, anela a ritornarci e sa che ogni assenza troppo prolungata quasi sempre si trasforma in impedimento definitivo. Di qui la necessità di aprire le urne al più presto e per riuscirci serve una nuova legge elettorale: meglio senza attendere la pronuncia della Consulta il 24 gennaio. Inoltre Matteo 1 vuole primeggiare annullando ogni impaccio nel perimetro che gli compete: nessun alter ego nel Pd, nessun ostacolo per la leadership del centrosinistra.

Matteo 2 coltiva il medesimo disegno ma finora si è trovato di fronte un Tir con rimorchio targato SB. Bossi non preoccupa, il vero intralcio è il Signore di Arcore che ha due fisse: congelare tutto in attesa della sentenza di Strasburgo che lo riabiliti; salvaguardare il patrimonio aziendale. Del secondo se ne sta occupando monsieur Bollorè; per il primo, il diserbante giusto è il Mattarellum che costringe alle alleanze. Quella del Carroccio con FI risulta esiziale per il Biscione: consegnerebbe infatti definitivamente agli archivi la stagione del centrodestra a uso e consumo dei desiderata berlusconiani. E poco importa se per raggiungere l’obiettivo bisogna sacrificare il Porcellum ed il suo creatore, Roberto Calderoli.

Guardacaso leghista.

Stando così le cose, è più che comprensibile che l’ex premier che pur di sbarazzarsi del Mattarellum, appunto, diede via libera alla legge Calderoli stilata con un solo bersaglio: impedire a Romano Prodi di vincere, e si è visto com’è andata - bacchetti alla grande il suo focoso alleato e che Renato Brunetta, presidente dei deputati forzisti, sparga riluttanza: «La riforma elettorale si fa insieme in Parlamento, niente fughe in avanti». Formalmente ce l’ha con Matteo 1, ma la reprimenda funziona benissimo anche con Matteo 2. Ma davvero la ditta Matteo& Matteo può arrivare al traguardo? Beh, come ha spiegato ieri al Dubbio Arturo Parisi, «partire non significa per forza arrivare». Intanto c’è il problema dei numeri, insufficienti a superare l’ostacolo del semaforo verde parlamentare. Poi ci sono altri scogli non facili da evitare.

Primo fra tutti il no netto di Berlusconi. Vero è che Silvio fatica a tenere sotto controllo le sue truppe. Ma se la posta in palio è la sopravvivenza, serrare i ranghi diventa obbligatorio. Senza contare che davvero non sarebbe semplice spiegare all’elettorato lo scontro fratricida in Parlamento per votare la riforma e poi, d’incanto, ritrovare unità di intenti e sintonia per realizzare nei singoli collegi l’indispensabile coalizione per vincere. Per di più c’è un problemino non di poco conto: chi sarebbe il candidato premier del contenitore che si oppone a Renzi? Ma neppure il leader del Pd può considerare acquisito il risultato.

Conquistare il Mattarellum passando con gli scarponi chiodati su Berlusconi significa mettere la parola fine ad ogni eventualità di accordi post- elettorali. Addio larghe intese, dunque. Con il risultato di consegnarsi, in caso di vittoria ed è tutto da vedere che finisca così, a sinistra ai capricci di Pisapia o di chi per lui; e a destra di Alfano. Come accadde a Prodi con, rispettivamente, Bertinotti e Mastella. E poi c’è Grillo. Che potrebbe guastare la festa a tutti.

Non basta. C’è una barriera formidabile contro la quale minacciano di schiantarsi i sogni di gloria sia di Matteo 1 che di Matteo 2. Si chiama Mezzogiorno. E’ il deserto di sabbie mobili che può inghiottire entrambi.

Salvini perchè sia che cambi simbolo che linguaggio, il Sud rimane off limit per le liste he a lui si ispirano. Quel bacino elettorale non gli appartiene e, verosimilmente, non gli apparterrà mai.

Ma senza il Sud ogni speranza di vittoria è vana.

La stessa cosa per Renzi. Alla Direzione nazionale Matteo 1 si è scagliato contro il notabilato meridionale che ha fatto da zavorra al Sì.

Peccato però che quel notabilitato sia assiepato sotto le insegne del Pd, visto che i presidenti di tutte le regioni meridionali sono di quel partito, anche se non tutti tifano Renzi. Conquistare il Sud, dunque, è fondamentale. E il ricordo va a quel 61 a zero con il quale nel 2001 Silvio ( e non certo la Lega) sbancò la Sicilia. Con quale legge elettorale? Ma il Mattarellum: what else?