L’altra sera ho visto Piercamillo Davigo in Tv. Non lo vedevo più da molto tempo. Ho avuto una sorpresa: mi aspettavo che maramaldeggiasse, spinto dai successi dei 5 Stelle e dal loro arrivo nella stanza dei bottoni. Invece ho trovato un Davigo cauto. Sempre giustizialista, per carità, ma in versione soft e soprattutto in versione antileghista.  Le domande di Floris non erano di quelle propriamente incalzanti. Però toccavano tutti i temi caldi.

E Davigo si è destreggiato, con prudenza, sui temi che gli sono più congeniali - come la prescirizione, o la corruzione, o l’agente provocatore, o il dilagare dei reati economici - senza smentire nulla delle sue posizioni note, ma anche senza forzare, senza frasi ad effetto.

Si è difeso in modo abbastanza ragionevole dall’accusa di essere uno che divide il mondo in colpevoli e innocenti ( accusa che Floris ha attribuito a Berlusconi) spiegando che siccome lui di mestiere fa il magistrato, più o meno il suo compito è quello lì: condannare i colpevoli e assolvere gli innocenti. Poi ha parlato della “convenienza” in Italia ad essere fuorilegge piuttosto che legalitari. E ha dato una versione un po’ più moderna del solito di questa sua vecchia idea. Ha detto che è molto difficile far valere i propri diritti, garantiti dalla legge, e dunque violare la legge può essere più conveniente. Poi ha chiamato in causa sant’Agostino ( non esattamente il più progressista tra i santi eredi di Cristo) per sostenere che la giustizia e solo la giustizia fa la differenza tra uno Stato e una banda di ribaldi.

Ho notato, in questa fase dell’intervista, che Davigo ha difficoltà ad usare la parola Diritto e preferisce sempre usare la parola giustizia. E’ una sfumatura, certo, ma è una di quelle sfumature che possono nascondere delle abissali differenze di idee. La differenza, nell’uso dei due termini, potrebbe essere quella tra chi sostiene lo Stato di Diritto e chi il giustizialismo.

A proposito del giustizialismo Davigo ha negato che esista. Ha detto che l’unico movimento giustizialista realmente esistito è quello argentino, di Peron, che però chiedeva giustizia, sì, ma giustizia sociale. E con il quale hanno poco a che fare le istanze legalitarie delle quali si sta parlando in Italia.

Subito dopo i due colpi a sorpresa. Il primo addirittura a difesa di Berlusconi. Davigo ( che pure ha annunciato una querela contro il cav per qualche frase polemica che Berlusconi ha pronunciato contro di lui) ha dichiarato che la riabilitazione decisa dai magistrati milanesi è pienamente legale e giusta. Il secondo colpo a sorpresa è stata l’assalto alla Lega. E soprattutto alla proposta della Lega di modificare la legge sulla legittima difesa, ampliando le possibilità di sparare ai ladri. E’ stato l’unico momento nel quale Davigo ha perso la pazienza ed ha iniziato una polemica fero- ce contro quelli che sostengono a ogni piè sospinto che l’Italia è un paese insicuro. Ha gridato che l’Italia è il paese più sicuro d’Europa, che gli omicidi e le rapine sono in calo netto da anni e anni, e che la storiella che bisogna difendersi dal crimine dilagante, e armarsi, è una fandonia ed è pura propaganda.

Noi queste cose le abbiamo scritte cento volte sul giornale. Però di sentirsele ripetere da Davigo proprio non ce l’aspettavamo.

Poi Davigo deve avere avuto una specie di ripensamento: il timore di passare per garantista - che immagino sia una situazione che gli fa orrore - lo ha spinto a cambiare tono e ha iniziato a protestare contro le scarcerazioni facili. Ha sostenuto che in Italia la custodia cautelare è uno strumento molto difficile da utilizzare, e quindi i ladri restano a piede libero, mentre dovrebbero stare in cella. Ha detto che invece è meglio tenerli in cella, i ladri, che lasciarli liberi e poi lasciare li- bera la gente di sparargli. E poi ha spiegato che comunque è impossibile fare una legge che permetta di sparare a un ladro in fuga, legge che non esiste peraltro in nessun paese del mondo. E se uno spara a un ladro non per difendersi ma per attaccare, in ogni caso è omicidio.

L’ultimo capitolo dell’intervista è stato sulla daspo per i corrotti e sull’agente provocatore. Sulla daspo si è detto molto critico ( mentre ha sollecitato misure premiali più forti per i reati di corruzione, fino a garantire l’impunità); dell’agente provocatore ha dato una sua versione ( e cioè la versione non del provocatore ma del semplice infiltrato) che modifica parecchio il contratto penta- leghista. Probabilmente il Presidente Conte gli ha dato retta, perché ieri, nel suo discorso conclusivo del dibattito sulla fiducia, ha cambiato anche lui gli impegni del contratto, limitandosi a parlare di agenti sotto copertura.

Può anche darsi che l’intervento di Davigo sia casuale. O può darsi che sia da mettere in relazione alla campagna elettorale per il Csm. Però è abbastanza probabile che nella magistratura, anche nella sua ala più oltranzista, sia sorto un certo sentimento di timore per la baldanza forcaiola della nuova maggioranza, e per la facilità con la quale il loro programma elettorale offende il diritto. E che Davigo abbia voluto assumere questo ruolo - come dire? - di addetti ai freni...