Le esternazioni di Matteo Salvini sono insindacabili, quelle di Roberto Saviano no. Nel giorno in cui il Senato nega la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti del leader della Lega per le parole rivolte a Carola Rackete, ex comandante della Sea Watch 3, la nave tedesca da soccorso che nel 2019 salvò 53 vite umane nel mare libico, Roberto Saviano non può non notare una certa disparità di trattamento. Lo scrittore infatti rimane sotto processo per diffamazione a Roma per aver definito in tv «bastardi», proprio per le loro posizioni intransigenti sull'immigrazione, l'allora parlamentare di Fratelli d'Italia e attuale presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e lo stesso capo del Carroccio. Ma se l'uomo dei porti chiusi ha scelto, questa volta, di non procedere per vie legali - Matteo Salvini aveva già querelato Saviano nel 2018 su carta intestata del Viminale quando era ministro dell'Interno - la premier ha presentato querela e si è costituita parte civile nel procedimento. «Esiste una disparità, una sproporzione che ritengo intollerabile tra i comuni cittadini e i ministri di questo governo. Su Carola Rackete, Salvini aveva detto di tutto, da “zecca tedesca” a “sbruffoncella”, al gravissimo “complice degli scafisti”», ci spiega adesso Saviano.

Ha prevalso il principio dell'insindacabilità di un parlamentare nell'esercizio delle sue funzioni...

È semplicemente successo che il Senato ha schermato Salvini dal processo. Così vanno le cose in questo paese: i ministri querelano chi vogliono, ma poi sono protetti dal Parlamento quando sono chiamati a rispondere delle bestialità pronunciate.

La considera un'ingiustizia?

Il messaggio che passa è questo: Salvini è più cittadino di noi perché, nonostante le sue parole abbiano un peso e una risonanza enormi, può permettersi di pronunciarle senza pensare alle conseguenze. Tra l'altro, sempre su Carola Rackete, arriva la Cassazione a confermare quello che già sapevamo, ovvero che non si trattò di speronamento, come affermato da Giorgia Meloni, ma di «adempimento di un dovere». Chi sa se la premier ha qualcosa da dire in merito?

A che punto è il suo processo?

Il 27 giugno c’è stata, a Roma, la quarta udienza del processo relativo alla querela che la presidente del Consiglio ha sporto contro di me per diffamazione. Ascoltando le testimonianze di Corrado Formigli e di Riccardo Noury, testi citati dalla mia difesa, è emerso ciò che era evidente sin dal principio: la mia critica non aveva affatto un carattere personale, non è stata dettata dall’emotività, non era rivolta solo a Meloni, ma a quanti, Meloni compresa, avevano negli anni posto un bersaglio sui migranti che attraversano il Mediterraneo e su chi presta loro soccorso.

A chi altro erano rivolte le sue accuse?

Insieme a Meloni avevo criticato Matteo Salvini, Luigi Di Maio che ha coniato l’espressione «taxi del mare» e Marco Minniti a cui si deve l’inizio dell’interlocuzione con la Guardia costiera libica e il finanziamento delle milizie libiche, i veri trafficanti, quelli che questo governo si ostina a cercare altrove.

Ma solo l'allora “semplice” leader di Fratelli d'Italia ha scelto di querelare. Perché secondo lei?

Intanto Salvini mi aveva querelato già, lo avevo definito «ministro della Mala vita», riprendendo una citazione di Gaetano Salvemini, e se n’ebbe a male. Quanto a Meloni, è emerso come la soglia di sopportazione del dissenso della premier sia davvero molto bassa. Questo si evince anche dalla reazione sproporzionata che ha avuto, durante il convegno sulle droghe, nei riguardi del deputato di + Europa Riccardo Magi, che non l’ha offesa, che non l’ha intimidita ma ha semplicemente mostrato un cartello con su scritto quello che tutti sappiamo, ovvero che se alle droghe non ci pensa lo Stato, imboccando la via della legalizzazione, ci pensano le mafie. «Non mi farò intimidire», ha tuonato Meloni, ma da chi o da cosa? Come può Meloni ignorare che, salvo alcuni importanti interventi della Corte Costituzionale, la legge vigente in materia di stupefacenti è la Fini- Giovanardi? Quindi il degrado di cui parla la Premier è attribuibile unicamente alla sua parte politica.

Il giudice ha respinto la richiesta presentata dai suoi legali di sentire in aula la presidente del Consiglio, ma intanto due giorni fa hanno testimoniato Corrado Formigli e il portavoce di Amnesty International, Riccardo Noury. Cosa hanno detto?

Riccardo Noury - impegnato con Amnesty in queste ore a difendere il reato di tortura a cui questo governo ha dichiarato guerra - ha spiegato come la campagna elettorale che ha preceduto le elezioni del 2018 abbia fatto largo uso di hate speech ( rapporto Amnesty International 2018, il barometro dell’odio) e come a diffondere odio siano stati principalmente la Lega e FdI. Corrado Formigli ha chiarito come la mia non fosse una critica emotiva rivolta a Giorgia Meloni, che non conosco e verso cui non nutro alcun tipo di risentimento personale, ma un asprissimo giudizio sulla comunicazione che Meloni, Salvini, Di Maio e Minniti hanno fatto sui salvataggi in mare, generando odio.

Salvini ha sempre detto che era suo dovere proteggere i confini italiani...

Un conto sono le politiche migratorie di un Paese, un altro è salvare chi è in pericolo di vita. Non ho mai fatto mistero della mia profonda disistima verso Marco Minniti che per primo ha di fatto posto le basi per la criminalizzazione delle Ong, rendendo difficilissimo salvare vite in mare. Poi è arrivato Di Maio con i suoi «taxi del mare», poi Salvini con le «crociere» e Meloni con il blocco navale, l’affondamento delle navi e l’arresto dell’equipaggio. Tutto per sventare il fantomatico pericolo di «sostituzione etnica». Minniti fu più raffinato e fece leva su un’altra fonte di preoccupazione, gli attentati terroristici di matrice islamista. Disse che sui barconi potevano arrivare attentatori, teoria ripresa da Crosetto ma smentita dai fatti.

Crede che quello contro di lei sia una sorta di processo politico?

Se non uno ma tre esponenti di questo governo mi hanno portato a processo, due in sede penale - Meloni e Salvini - e uno in sede civile - Sangiuliano - non sono io a dire che si tratta di processi politici ma sono loro a renderlo palese.