PHOTO
L'economista Giulio Sapelli
La battaglia sul reddito di cittadinanza ha animato il Parlamento italiano con effetti che l’Inps sta adesso recapitando nelle case di coloro che non ne avranno più diritto.
«Macelleria sociale» per il M5s, «riforma indispensabile» per la maggioranza di Giorgia Meloni che vuole chiudere con l’assistenzialismo. Uno scontro durissimo che a settembre farà il paio con la discussione sul salario minimo che vede posizioni politiche in campo molto distanti tra loro, nonostante siano in discussione diritti fondamentali dei lavoratori. Nel frattempo l’Istat ha stilato il report del secondo trimestre del 2023 segnando, un po’ a sorpresa, un calo del Pil pari allo 0,3%. Abbiamo fatto il punto con l’economista Giulio Sapelli.
Che idea si è fatto dello scontro andato in scena sul reddito di cittadinanza? La nuova impostazione adottata dal governo Meloni ha fatto infuriare le opposizioni che hanno parlato di “macelleria sociale”…
Di certo serve che il governo metta in atto un’azione politica contro la povertà che è un po’ quello sta provando a fare adesso concedendo il sussidio ai meno abbienti e distinguendo le posizioni di coloro che non possono lavorare da quello di coloro che possono e devono cercare occupazione rivolgendosi ai centri per l’impiego. Non mi pare proprio che si possa parlare di macelleria sociale. Anche da parte dell’opposizione servirebbe meno propaganda, ma un’attività di stimolo nei confronti del governo per arrivare ad una riforma dei centri dell’impiego e dell’intera fase della ricerca del lavoro sulla scorta del modello tedesco o francese. Credo che sarebbe più opportuno riservare termini forti come macelleria sociale per situazioni ben più gravi come quelle che riguardano gli incidenti sul lavoro o, ancora peggio, le morti sul lavoro.
Si è arrivati però alla modifica del reddito di cittadinanza, privandone moltissimi percettori, senza che nessuna delle riforme di cui parla siano state messe a punto…
Questo è un fatto gravissimo certo. Ed è proprio su queste proposte di tipo riformista che si sarebbe dovuto sviluppare il dibattito e incentrare l’azione dell’opposizione. Non serve a nulla adesso fare una battaglia di demagogia o di mera propaganda politica.
Lo scontro al quale abbiamo assistito sul reddito di cittadinanza rischia di ripetersi a settembre sul salario minimo. Esistono margini per evitarlo? Lei che idea si è fatto a tal proposito?
Sono profondamente contrario al salario minimo anche perché sono convinto che si tratterebbe di una misura che trascinerebbe l’intera contrattazione collettiva verso il basso con un danno per i lavoratori. Mi sorprende in tal senso la posizione assunta da Cgil e Uil che rischiano di segare il ramo su cui gli stessi sindacati sono seduti, mentre è più apprezzabile la posizione espressa dalla Cisl. Ad andare maggiormente in difficoltà sarebbero poi le piccole e medie imprese che hanno una contrattazione salariale continua e i lavoratori di questo settore vedrebbero il proprio salario scendere sempre di più.
L’Istat ha fornito un dato a sorpresa rispetto al secondo semestre del 2023 con un calo del Pil pari allo 0,3%. Si tratta di una semplice casualità o ci sono delle responsabilità da parte del governo?
In realtà quella a cui abbiamo assistito non era una ripresa vera, ma soltanto un rimbalzo. I problemi strutturali del Paese sono sempre gli stessi e non sono stati risolti. Nella nostra economia sta tenendo soltanto il settore della manifattura e non si può certo pensare di creare uno sviluppo solido puntando soltanto sul turismo. Siamo stati poi investiti in pieno dalla recessione tedesca e dalla gravissima crisi del capitalismo tedesco, cinese e russo dovuta sia alla guerra che all’inflazione. La riduzione dell’offerta delle materie prima sta condizionando pesantemente tutti e potremmo risentirne anche nel settore della manifattura. Insomma vedo davanti a noi anni di grave difficoltà.
Davanti a un quadro del genere cosa dovrebbe fare il governo per provare a invertire la rotta?
Servono investimenti privati e pubblici ed occorre riformare urgentemente la legislazione europea sugli aiuti statali. Serve la possibilità di fare maggiore debito pubblico per ripagarlo dopo essere usciti dalla crisi in maniera che si possano creare nuove imprese che diano lavoro. In buona sostanza si deve mettere mano a un piano industriale a lungo termine che programmi investimenti sia privati che pubblici. Un piano di cui si dovrebbe occupare il Ministero dell’Economia che rimane invece assolutamente assente.
In questo senso avrebbero potuto essere sfruttate meglio le risorse europee in arrivo e gli stessi fondi del Pnrr?
Sì, ma il vizio è all’origine. Mentre i francesi e i tedeschi hanno concentrato le risorse destinate ai proprio Paesi su quattro temi principali, noi le abbiamo disperse in ben dodici campi diversi. Procedendo in questa maniera abbiamo disseminato le risorse su un amplissimo raggio di interventi che non porteranno a risultati concreti. Se avessimo avuto un reale piano industriale di lungo periodo avremmo potuto sicuramente fare di meglio ed evitare questo obbrobrio.