Ferdinando Adornato ne ha vissute tante, da socialista prima e da berlusconiano poi, ma ora si dice «felice di essere fuori dai giochi», anche se questo non gli impedisce di analizzare lucidamente la situazione politica.

A che punto è il nostro dibattito pubblico?

Non invidio giornalisti e commentatori quotidiani della politica italiana. Ma se vogliamo aiutare i lettori a capirci qualcosa dobbiamo premettere che ciò che hanno sotto gli occhi nasce dal fallimento radicale del tentativo di fondare un bipolarismo italiano. Ciò che avviene nel centrodestra, come nel centrosinistra, deriva da questo peccato originale. Si ricorderà con quanta gioia tutti gli italiani hanno assistito alla fine della prima Repubblica, sognando di arrivare a una democrazia dell’alternanza.

Che fu raggiunta in qualche modo nella seconda Repubblica, ma anche quel periodo sembra lontanissimo.

Il periodo Prodi contro Berlusconi era come una guerra civile, per fortuna combattuta senz’armi, ma con due schieramenti armati di antifascismo e anticomunismo. E tuttavia erano spostati al centro, con un sentimento di interesse nazionale comune. Questo è il bipolarismo: una competizione al centro, anche aspra e forte, ammanicata dal sentimento di essere una sola nazione. Come accade in Germania, mentre da noi per mettere d’accordo tutti o quasi ci vuole l’indiscusso carisma di una personalità in un periodo che al tempo di Monti era di lacrime e sangue e al tempo di Draghi è di espansione economica.

E invece si è arrivati al tripolarismo, con l’avvento del Movimento 5 Stelle. Cosa contraddistingue la terza Repubblica?

Si è arrivati a divisioni di tipo ideologico, sembra quasi che i partner di queste nuove alleanze appartengano a schieramenti diversi. Il centrodestra è persino più unito, anche se la parola è impropria. Il centrosinistra è visibilmente più contraddittorio, perché il M5S è nato contro il Pd, oltre che contro tutta la politica che oggi amano disperatamente. Si può sproloquiare quanto si vuole ma entrambi gli schieramenti sono figli di un fallimento politico e in quanto tali vanno giudicati.

Il bipolarismo era il grande sogno di Berlusconi. È anche per demeriti suoi che non ci si è arrivati in maniera stabile?

Berlusconi ha avuto l’opportunità di dar vita a un grande partito repubblicano, fu fatta anche una costituente e una carta dei valori, ma poi l’occasione è stata buttata alle ortiche. Oggi si usano parole a sproposito, come sovranismo che non vuol dire nulla. Allora meglio usare nazionalismo o al massimo antieuropeismo, anche se poi nessuno si dichiara antieuropeista. Se il bipolarismo italiano è fallito, si può solo prendere in considerazione una rifondazione. Che però appare lontana da qualsiasi attore politico di oggi. Insomma bisogna ricominciare da capo.

Quale ruolo gioca il centrodestra e in particolare Forza Italia nell’agone politico attuale?

Ciascuno degli attori politici del centrodestra dovrebbe contribuire a una rifondazione di centro- destra. Occorre una coalizione, anche se amerei anche un solo partito per semplificare tutto, che abbia la cultura di governo di un grande partito europeo di centro, che copra anche tutte le versioni possibili di una destra di governo. Il che significa escludere estremismo, violenza, razzismo, residui di antisemitismo e fondare la propria identità intorno alla stella di una società più liberale, meno assistenziale, con un piano economico di tenuta e di stabilità che preveda anche una nuova e attenta sensibilità al cambiamento climatico e una sana preoccupazione di fronte ai rischi connessi a una civiltà fondata sull’immediatezza, sul clic, e non sulla mediazione che invece è il sale della democrazia.

Non è quello che, ancora oggi, proclamano i forzisti?

Forza Italia usa le parole giuste, ma al di là delle sue percentuali elettorali che sono minoritarie rispetto a quelle dei partner, ha perso credibilità quando ha rinunciato a cambiare il paese, avendo avuto una forza politica esorbitante, con un numero di deputati e senatori molto alto. Oggi è il residuo di una forza che non ha saputo sfruttare l’occasione di prendere l’Italia per mano e fare un salto nel futuro. Ma le sue parole sono ancora condivisibili.

Di Salvini e Meloni cosa pensa?

Di Salvini non ho tanta voglia di parlare, perché non gli si può rimproverare granché. Nel senso che lui è così, è come Jessica Rabbit, l’hanno disegnato così. Diverso è il discorso per Giorgia Meloni, che ha linguaggio politico, cultura politica, è una spanna sopra gli altri. Ma deve avere il coraggio di farsi protagonista di questa rifondazione e non solo gestire un patrimonio che deriva dalla sua eredità ma che si rivolge troppo a un’area parziale del centrodestra. Nel 2007 del Popolo della Libertà facevano parte Forza Italia, Alleanza nazionale e Udc. Non la Lega, che era un partito territoriale. Fratelli d’Italia dovrebbe essere protagonista di una rifondazione europea assieme a Berlusconi, ma la politica estera ed europea di Meloni è ancora lacunosa.

E poi è arrivato Draghi. Cosa ha portato al Paese?

Tutti i partiti oggi sono presi in contropiede da Draghi, che fa la parte del leader di un grande partito di centro europeo. Ma il draghismo dovrebbe diventare il cavallo di battaglia dei partiti, a prescindere da dove si ritroverà il presidente del Consiglio tra qualche anno.

A proposito, lo vede meglio a palazzo Chigi o al Quirinale?

In qualsiasi collocazione sia, a palazzo Chigi, al Quirinale o a capo della Commissione europea, comanderà comunque. Certo, se andasse al Quirinale le coalizione politiche sarebbero obbligate all’operazione di cui sopra, ma mi auguro per loro che non accada perché non le vedo in condizioni di accingersi a quest’opera. In ogni caso comanderà lui, perché l’identità e la capacità dei partiti sono troppo deboli rispetto alla grande competenza economico sociale e all’abilità politica di Draghi.

Non emerge un bel quadro della nostra politica.

È così, ma attenzione: la decadenza del paese non riguarda solo la politica. Non può nascere una classe politica laddove c’è un clima generale di decadenza nelle scuole, nelle università, nella cultura. Ci sono punte di diamante nell’economia, nella moda, nello sport, ma la politica è la cartina al tornasole di un paese purtroppo in decadenza.