«D’Alema considera Renzi un usurpatore ed è disposto a tutto pur di cacciarlo e riprendere il partito. Fa parte di una strategia tipica degli ex comunisti». Ne è sicuro, il giornalista Fabrizio Rondolino, ex consigliere del leader Maximo ed editorialista di punta della nuova Unità targata Renzi.Nessuno scivolone comunicativo, quindi?Al netto della polemica stucchevole, fatta di smentite e controsmentite, D’Alema pensa esattamente ciò che gli è stato attribuito. Quindi è relativo, se lo abbia detto con quelle precise parole o meno. Inoltre per D’Alema si tratta un po’ di un eterno ritorno: perse palazzo Chigi per un’intervista e tutti conoscono la sua passione per le battute, che però prima o poi arrivano alle orecchie dei giornalisti. Ciò non toglie, tuttavia, che lui la pensi realmente così. Di più, D’Alema ha dato voce all’opinione di quasi tutta, per non dire tutta, la minoranza di sinistra del Partito Democratico.E cosa pensa la sinistra dem?La vecchia dirigenza considera Matteo Renzi un usurpatore, che non c’entra nulla con la loro storia e che deve essere eliminato. Per farlo, l’unico modo è farlo perdere. Ergo, con queste premesse l’azione politica va di conseguenza e Roma è il primo passo.Uno scacco matto che passa attraverso il sacrificio di un pezzo importante come la Capitale. Non è un gioco pericoloso?E’ una tecnica che fa parte del cinismo e della doppiezza della generazione post-comunista. Nella cultura del Partito Comunista non è mai esistita l’idea di una minoranza che lavora nel partito e per il partito, ma solo quella di una riconquista dell’egemonia, anche a costo di sacrifici. Questo significa che, una volta fissato l’obiettivo, il fine giustifica i mezzi, anche se questo significa mettere Roma nelle mani dei 5 Stelle.Però?Però gli ex dirigenti come D’Alema e Bersani non tengono in conto che i partiti moderni non sono più fondati su oligarchie di ceto politico. Io credo che la vecchia dirigenza metta in conto il terremoto che provocherebbe la caduta di Renzi, ma sia disposta a sacrificare il Partito Democratico sull’altare della tradizione, anche se questo significa relegarlo a un 15%.Cosa avrebbero dovuto fare, invece, i vecchi dirigenti?Probabilmente avrebbero dovuto fare ciò che fanno tutti i padri: spiegare la novità renziana ai gruppi più conservatori del partito. Se fossero stati dei bravi dirigenti con il senso della storia, avrebbero trovato il modo di veicolare il messaggio di Renzi. In questo modo avrebbero anche potuto giocare un ruolo virtuoso all’interno della struttura del Partito Democratico, invece di ridursi a questa dimensione di lotta interna e distruttiva.Dopo Renzi il diluvio, quindi?Sicuramente dopo Renzi non c’è l’attuale minoranza del Pd. Il partito è in mano ad una bad company di sinistra, fatta di un piccolo ceto politico composto da quadri e capibastone. Non c’è alcun margine di riforma e, tra l’altro, si tratta di una dimensione assolutamente inutile a livello elettorale. I fatti hanno dimostrato che non esiste uno spazio per una sinistra di questo tipo, che non esercità più alcun tipo di influenza sull’elettorato. Gli italiani votano Renzi, oppure migrano verso il Movimento 5 Stelle.A proposito dei grillini, Roma sarà il loro miracolo politico oppure rischia di trasformarsi in una Caporetto?Difficile da dire ora, anche perché io li credevo in via di esaurimento ben prima di arrivare a questo punto. Io propendo più per il disastro, soprattutto guardando a quello che hanno combinato in città molto più semplici da governare rispetto a Roma, come Quarto e Livorno. Del resto, erano stati loro i primi a dire che c’era un complotto per farli vincere, come a dire che sulla lunga distanza sarebbe stata più una sconfitta che un trionfo. Eppure, non escludo che la presa della Capitale potrebbe essere per loro uno stimolo alla normalizzazione, con un movimento che si struttura in partito.Roma, allora, potrebbe rischiare un governo a 5 Stelle e non venirne travolta?Diciamo che fare peggio dei due ultimi sindaci, Alemanno e Marino, è difficile. Non escludo, quindi, che il Movimento 5 Stelle, se vincesse a Roma, potrebbe avere una svolta di responsabilità e questo sarebbe certamente un bene per la Capitale.Il candidato dem Roberto Giachetti, però, sembra più interessato ad aprire a destra, piuttosto che ha intaccare l’elettorato grillino. Come giudica la scelta di chiamare l’ex direttrice del Secolo Flavia Perina come futuro capo della comunicazione?Non la considero una scelta di destra, ma una scelta intelligente. La Perina è una giornalista più di sinistra di altri nelle posizioni e il suo passato nell’Msi è ormai decisamente remoto. Inoltre è stata una delle intellettuali più vivaci della stagione “futurista”, costruita con Gianfranco Fini. E poi questo tipo di scelte non influenzano nulla, elettoralmente parlando.Allargando il panorama anche ai ballottaggi di Milano, Bologna e Torino, davvero l’esito di queste amministrative avrà la forza di far traballare il governo, come spera D’Alema?Direi di no. Il governo terrà, anche se questa tornata di amministrative dovesse concludersi con peggiore degli esiti e dunque la perdita di tutte e quattro le città in bilico.La resa dei conti, allora, sarà a ottobre con il referendum costituzionale?A ottobre la partita si gioca su un piano completamente diverso. Sicuramente la forza sarà diversa e oggi è ancora difficile capirla perché la campagna referendaria è agli inizi. Però io sono convinto che, alla fine, il referendum non si ridurrà ad un voto sul premier. Credo che il merito delle cose prenderà il sopravvento e si voterà a favore o contro la semplificazione dell’assetto istituzionale, non sul governo Renzi.