«Non vogliamo ricordare. Così torniamo sempre al punto di partenza». Questa sembra essere l'amara lezione che si ricava dalle pagine del nuovo libro del giornalista e saggista Sergio Rizzo, La memoria del criceto. Viaggio nelle amnesie italiane, uscito recentemente per i tipi della Feltrinelli, vasto e a tratti impietoso excursus fra le tante iniziative e opere pubbliche intraprese e mai portate a compimento, circolo vizioso di promesse disattese che costellano il cantiere Italia.

Rizzo, considera efficaci le ultime politiche miranti a ridurre il numero di opere pubbliche incompiute in Italia, come ad esempio la cosiddetta legge “sblocca cantieri”?

La sblocca cantieri risulta ancora inefficace, mentre per il resto non si può certo dire che il numero di opere incompiute sia diminuito. Le statistiche andrebbero riviste. Se da anni i vari governi che si sono avvicendati lamentano il fatto che numerose opere non siano state ancora portate a termine, ciò non può certo costituire un segnale positivo.

Riguardo al Mose di Venezia, se ultimato, ritiene che sarebbe stato davvero di qualche utilità o, come ha invece sostenuto il consulente dell'ex giunta Cacciari, Armando Danella, avrebbe presentato alcune carenze progettuali?

Stiamo parlando di un progetto nato alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso – in seguito al grave alluvione del ' 66 che comportò conseguenze molto gravi per la città di Venezia –, i cui lavori sono cominciati nel 2003, mentre la concessione risale addirittura al 1984: un'opera antidiluviana, soprattutto alla luce dei recenti cambiamenti climatici e del livello d'innalzamento dei mari. Ritengo sia doveroso che venga portata a termine ma penso, tuttavia, che dovrebbero essere presi provvedimenti di natura diversa, come, ad esempio, vietare l'ingresso in laguna delle grandi navi. Il problema di Venezia non va trattato in maniera superficiale e il Mose, da solo, non può rappresentarne la soluzione.

Riguardo alle Province, di cui tratta in un capitolo del libro, esse devono occuparsi anche della manutenzione di ponti e strade – che mostrano in alcuni casi carenze strutturali e di manutenzione –, però con meno fondi rispetto a prima. Lo trova un controsenso?

Fondamentalmente, il problema delle Province risiede nella loro mancata riforma. Non si possono togliere competenze a loro e poi non conferirle ad altri. Da tutte le parti politiche è stata affermata l'inutilità delle Province. Una volta bocciato il referendum che ne sanciva l'uscita dalla Costituzione, tutto torna come in precedenza.

Ritiene che le misure relative al Green New Deal, appoggiate dal premier Conte, risulteranno anch'esse ridimensionate?

Si tratta di iniziative adottate in modo estemporaneo sull'onda di una maggiore sensibilità da parte dell'opinione pubblica: manca loro, alla radice, un disegno organico. La politica asseconda giorno dopo giorno ciò che può rappresentare fonte di consenso, senza però avallare strategie convincenti.

Parliamo invece della sorte di Alitalia. Sembra prospettarsi, dopo l'ennesimo piano di ristrutturazione, un possibile ingresso futuro di Lufthansa. Cosa ne pensa?

Non mi pare che ad oggi sussistano le condizioni affinché Alitalia possa continuare su questa scia. Si tratta di un'azienda dapprima pubblica, poi passata ai privati, che dal ' 96 non chiude un bilancio in utile. O esiste un problema di management o sotto si nasconde qualcos'altro. Non credo sia giusto costringere gli italiani a continuare a pagare più di quanto abbiano già fatto finora. A questo punto auspico che la compagnia venga venduta a un soggetto che abbia un piano aziendale credibile e prospettive valide o, in caso contrario, che chiuda. Non comprendo tutta quest'ostinazione politica al riguardo.

Per prendere in considerazione un'altra tematica di cui ha trattato diffusamente, ovvero la corruzione, lei crede che la nuova legge “spazzacorrotti” ed eventuali misure atte a limitare la circolazione del contante, dopo tanti tentativi andati a vuoto, riuscirebbero a segnare un giro di vite contro la corruzione?

Bisogna vedere come queste misure saranno messe in pratica. Effettuare pagamenti attraverso mezzi elettronici per il fisco – e quindi anche per tutti gli italiani che pagano le tasse – rappresenterebbe un indubbio vantaggio. Penso tuttavia che per combattere efficacemente l'evasione fiscale sia necessario confrontarsi con un problema culturale più profondo.

Lei esamina anche il nodo irrisolto tra politica e magistratura. Crede che si potrà arrivare a un'efficace normazione di questo rapporto?

Dipende da molteplici fattori,

in primis dalla volontà di arrivarci. Nella scorsa legislatura erano stati fatti dei tentativi che mi sembra non abbiano ottenuto i risultati sperati. Vi sono delle resistenze da superare, espresse da talune corporazioni. Certe categorie detengono il potere di incidere in maniera rilevante sulla vita politica. Non si può, per la Costituzione, vietare a nessuno di candidarsi, ma sarebbe opportuna una presa di posizione etica molto forte da parte della magistratura e una legge chiara che la metta al riparo da sospetti.

Negli ultimi anni la qualità dello studio della storia sta peggiorando mentre guadagnano terreno l'approfondimento delle storie regionali. Le storie al posto della storia. Che sia l'unità d'Italia la nostra più grande opera incompiuta?

Basti pensare che gli eventi relativi all'unità d'Italia si insegnano poco e svogliatamente, al pari della storia del fascismo e del dopoguerra, per non parlare della nascita dell'Ue. Non comprendo sinceramente l'accento posto sulle storie regionali. La storia è la storia. Non condivido l'autonomia scolastica delle varie regioni, perché porta inevitabilmente ad approfondire certi punti del programma a discapito di altri. Non ha senso, soprattutto in un momento storico in cui sarebbe auspicabile che le conoscenze siano più ampie e inclusive, non circoscritte nei confini angusti di un insegnamento limitato.