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Rita Bernardini
Nel giorno dell’anno in cui il lavoro si ferma, Rita Bernardini si concede un’intervista. Negli altri ha troppo da fare. Se non sta digiunando sta visitando un carcere. Oppure è in piedi a un sit-in o seduta su un autobus diretto chissà dove. Il suo centro sono le sue battaglie. Anche se la politica Radicale preferisce vivere “in bilico”: «Con Pannella non c’era mai niente di consolidato, perché da un momento all’altro ti proponeva di rivoltare tutto. Capito?».
È così che Rita Bernardini vede la sua vita, «sempre». Con un piede dentro la prossima causa mentre smaltisce le bagatelle giudiziarie di questa o quell’altra disobbedienza civile. Ne ha collezionate talmente tante che ora le deve mettere insieme, tutto un pacchetto con le vicende registrate nel casellario giudiziale pubblicato dall’ex segretaria dei Radicali in vista delle Europee. È in corsa nella circoscrizione Isole come capolista per Stati Uniti d’Europa. Da quelle parti ha l’amico di vecchia data che le fa sponda in Parlamento, Roberto Giachetti di Italia Viva. E come vuoi che sia un amico di Rita Bernardini? Radicale, che è un modo di essere. Tanto che l’ex deputata si distingue perché si siede a parlare con tutti, ti va pure a parlare nel palazzo di Casapound. Però nel cuore e sul divano c’è posto soltanto per i compagni di lotta.
Insomma, Rita ha amato solo certi uomini che capivano cosa le bruciava dentro. Uomini che sanno stare in rivolta. Sposata? Mai, per principio. E non ha figli suoi, ma i suoi figli sono tutti. Marco Pannella? Certo, ma baciarlo sulla bocca per affetto era un atto politico. Lui la folgora con la campagna sul divorzio. Poi Bernardini sente alla radio che servono i soldi e i tavoli per i referendum. «Portai il mio contributo di 5.000 lire, cioè un cazzo». Porterebbe anche i banchi della scuola in cui lavora, ma a questo punto è Marco a dire «cazzo»: gli servono quelli pieghevoli. È la storia del primo incontro, alla quale però Rita Bernardini arriva mano nella mano con un altro uomo: Bruno Tescari.
«Posso dirti anche come mi sono innamorata di lui». Lui insegnante, lei alunna, «anche se tutto è cominciato dopo la scuola». Rita e Bruno sono soprattutto compagni di lotta, neanche a dirlo, contro le barriere architettoniche. Tescari ha problemi di disabilità, è divorziato, ha già una bambina che Rita frequenta ancora. Insieme fondano il Fronte Radicali Invalidi e costruiscono gli scivoli di cemento davanti agli uffici pubblici. Si mettono a impastare nel cemento e fanno dei «casini bestiali». Che giorni, a disseminare focolai per «attivare la democrazia», come si diceva di Pannella.
Ma che strada li aveva portati a quei tavoli in piazza? Per Bernardini c’è soprattutto l’aborto praticato in Inghilterra appena 20enne, perché in Italia non si poteva. Anche lì il medico le fa la paternale ma nel nostro sottobosco della clandestinità si stava anche peggio. Quindi Bernardini si mette a militare con le associazioni impegnate nella prevenzione dell’Igv e non ha mai smesso di militare. Per cinque anni in Parlamento, nella sede dei radicali a largo Argentina 76, al telefono coi parenti dei carcerati. Bernardini, che si aggira come un felino nella giungla urbana di Roma e ti fulmina con due occhi di ghiaccio. E poi ti dice: «Ma tu te lo ricordi il divieto Cossiga di manifestare?». Ecco un’altra storia, di quella ragazza che caccia via i blindati della polizia agitando la Costituzione.
Poi c’è lo sciopero della fame finito con un clamoroso nudo collettivo al teatro Flaiano di Roma. Sergio Stanzani non ne voleva sapere, voleva mettersi un fiore proprio lì. Ma alla fine Pannella li convince tutti, e neanche a Rita scoccia essere l’unica donna. «Mia mamma mi vide alla tv e disse: ma almeno adesso ricominci a mangiare?». Sua madre Dc convertita ai radicali. E suo padre barbiere Msi. «Proprio missino», non che la cosa la turbasse, «io lo adoravo». E infatti non c’è traccia di ribellione all’autorità nell’infanzia di Bernardini. Cerchiamo di cogliere la cifra della sua protesta, ma in verità non c’è troppo da ricamare. Se una legge si ignora o si applica male o nega un diritto, va sistemata: tutto qua. Possibilmente tutti insieme, coi dibattiti aperti, il partito aperto, le teste aperte. Il metodo radicale: «Che poi ti pare facile autenticare le firme?». Rita Bernardini è quella che studia le regole e si presenta in Cassazione col patema d’animo per la consegna.
Anticlericale con saldi principi cristiani, del passato “catechista” conserva solo i valori. Si occupa dei malati che hanno bisogno della terapia con la cannabis, ma non li aiuta per modo di dire, si fa le piantine sul bancone per cederle a chi gli serve. Quelle che le sono valse un sequestro, ma non un arresto, perché quando sentono il nome di Rita lasciano perdere. «Perché la legge non è uguale per tutti». Non nella battaglia antiproibizionista. E neanche in quella per le carceri umane. Le due cause che forse la rappresentano di più insieme a quella contro la fame nel mondo.
«Io conosco centinaia, se non migliaia di storie di detenuti. L’ultima in ordine di tempo? La moglie di un detenuto che gli hanno fatto morire in carcere nonostante segnalassero che stava male, stava male, fino a che è morto in cella». Perciò Rita Bernardini non ha tempo da perdere. «Preferisco ascoltare fino all’ultima storia». Non servono giri di parole, per una che si presenta sotto casa di Berlusconi vestita da coniglietto rosa per ricordare al Cavaliere il “debito” stipulato sulla giustizia. Le battaglie dei radicali, si sa, si intrecciano con chi le abbraccia. A destra e a sinistra, finché Pannella non rivoltava tutto e magari si metteva all’ultimo con D’Alema. Una mossa che li portò prima alla rottura e poi alla riconciliazione tra le lacrime di lei e le risate di lui. Ancora uno sciopero della fame, ancora un viaggio in Ape car, Porta portese nel ‘95 per la cessione di droghe leggere, avanti e indietro nel tempo, fino all’arresto in piazza San Pietro per la legge 194, la scena immortalata in quella foto da ragazzina con gli agenti che la tirano per le braccia.
Poi c’è la legge 180, c’è Enzo Tortora. E «quella volta sdraiati davanti a Palazzo Chigi contro i “rimborseggi elettorali”, con D’Alema incazzato nero». Ecco, «queste erano le disobbedienze civili che poi furono fatte in continuità con Porta Portese, disobbedienze per cui mi fu dato anche l’alto valore morale». Fino a che le cose si guastano. Arriva una condanna a due mesi e 25 giorni che la mette alla porta alla fondazione Pannella. «Né per statuto, né per legge. Per “orientamenti della prefettura di Roma”».
È una storia che fa male, questa, e a Rita Bernardini non va neanche tanto di parlarne. Alcune cose non se le spiega, come ancora non si spiega la nomina mancata nel collegio del Garante nazionale dei detenuti. Panni che la presidente di Nessuno Tocchi Caino veste comunque ogni giorno. «Non è che uno può aspettare che costruiscano nuove carceri e tutte le cose buone che ci raccontano, no? Bisogna subito rimuovere le cause che generano trattamenti inumani e degradanti». E via con l’ennesimo digiuno per fermare i suicidi in cella, con la legge sulla liberazione anticipata speciale firmata Bernardini-Giachetti.
Certo, ogni sciopero il corpo soffre, ma il corpo sta dentro la politica. Fino a che punto? Cioè: ha paura? «No, nemmeno quando sono finita in terapia intensiva». Rita Bernardini, lo abbiamo detto, sta sempre in bilico. Anche se non balla più in quel crocevia di umanità che è sempre stata la sede dei radicali. «Il fatto che io non possa mettere più piede in quella via di Torre Argentina 76 dove ho vissuto con Marco Pannella decenni della mia vita, beh... Ora chi bussa alla porta non trova nessuno». Ancora un caffè e una sigaretta. «Sali a casa? Casa è aperta».