Certo, l’uno vale uno è uno è una bestemmia che ci è costata cara. Certo, Luigi Di Maio non è uomo della previdenza e tanto meno della Provvidenza. Temporibus illis andò a Parigi a farsi una chiacchierata con i gilet gialli che di lì a poco avrebbero messo a ferro e fuoco la capitale francese. Ma, uomo nato con la camicia, nel Conte II è stato premiato con il ministero degli Esteri. Come dire l’uomo giusto al posto giusto. Per non parlare della dimestichezza con la lingua italiana dell’ex capo politico dei Cinque stelle, che smentisce di voler tornare alla direzione del Partito dopo l’intermezzo non particolarmente brillante di Vito Crimi.

Certo, l’uno vale uno è uno è una bestemmia che ci è costata cara. Certo, Luigi Di Maio non è uomo della previdenza e tanto meno della Provvidenza. Temporibus illis andò a Parigi a farsi una chiacchierata con i gilet gialli che di lì a poco avrebbero messo a ferro e fuoco la capitale francese. Ma, uomo nato con la camicia, nel Conte II è stato premiato con il ministero degli Esteri. Come dire l’uomo giusto al posto giusto. Per non parlare della dimestichezza con la lingua italiana dell’ex capo politico dei Cinque stelle, che smentisce di voler tornare alla direzione del Partito dopo l’intermezzo non particolarmente brillante di Vito Crimi. I congiuntivi? Un optional. Un latino virus che diventa un britannico vairus misericordiosamente non condannato dall’Accademia della Crusca. E, per finire in bellezza, ecco le dernier cri. Il 5 settembre, durante una diretta Facebook, rivolgendosi a due ospiti dice proprio così: «Fatemi prima di tutto presentarvi». Per molto meno in altri tempi uno studente sarebbe finito in punizione dietro la lavagna per l’intera lezione.

Dilettanti allo sbaraglio, qualcuno usa dire con una certa sufficienza. Ma non è così. Perché dei pentastellati si potrà dire tutto tranne che siano degli sprovveduti. No, sono furbi di tre cotte. Magari a loro insaputa. Lo hanno dimostrato un’infinità di volte. Le loro parole d’ordine hanno infatti fatto breccia spesso e volentieri. Hanno dato il la e un po’ tutti gli altri magari non avranno capito, ma si sono prontamente adeguati. Vogliamo fare appena qualche esempio? Facciamolo. Il taglio dei vitalizi degli ex parlamentari rappresenta una lesione allo Stato di diritto e confligge con una giurisprudenza costituzionale consolidata. Perciò – a riprova che ci sono giudici non solo a Berlino, come esclamò il mugnaio di Potsdam – la commissione contenziosa del Senato ha dato in definitiva ragione ai ricorrenti. Con scorno del solito Di Maio, che aveva invitato i ricorrenti a desistere. Perché i componenti di questi tribunalini interni alle Camere, a suo insindacabile avviso, sono figli di Sua Maestà la Partitocrazia e pertanto mai e poi mai le avrebbero fatto un torto. E invece… Fatto sta che Di Maio e i suoi cari sono andati avanti a marce forzate e tutti gli altri partiti gli sono corsi appresso. Un pifferaio magico, non c’è che dire.

Hanno poi preteso un reddito di cittadinanza che ci è costato un occhio della testa e ha creato posti di lavoro unicamente al 2 per cento dei beneficiati, secondo i dati forniti dalla Corte dei conti. E la legge è stata approvata ai tempi del Conte I perché la Lega, allora alleata dei Cinque stelle, pro bono pacis non ha saputo dire di no. E adesso i pentastellati intendono imporsi ancora una volta. E con ragione, dal loro punto di vista. Perché si direbbe che Nicola Zingaretti, che appena ieri ha annunciato urbi et orbi il soffertoSì del suo partito al referendum sul taglio dei parlamentari dopo amletici dubbi durati mesi, stia facendo di tutto per far prevalere il No.

Esagerazioni? Niente affatto. Il segretario pro tempore del Pd ha infatti condizionato il sì all’approvazione di una legge elettorale proporzionale con liste bloccate e con uno sbarramento del 5 per cento.

Ora, uno sbarramento così alto non può piacere a quelli che Massimo D’Alema soavemente definiva i virus – non vairus! – del centrosinistra. Vale a dire nella fattispecie Leu, Italia viva, Azione, + Europa e via dicendo, ben al di sotto del predetto sbarramento. E la richiesta Democrst di liste bloccate associate alla proporzionale rappresenta la goccia destinata a far traboccare il vaso. Perché se il sì è correlato a un sistema elettorale che impedirebbe agli elettori di scegliersi i deputati e il governo, allora per scongiurare una simile iattura occorre senza indugio votare un rotondo No al referendum.

Visto e considerato che quest’ultimo sta rimontando, il presidente della commissione Affari costituzionali della Camera e relatore del provvedimento, il M5S Giuseppe Brescia, ci ha messo una pezza a colori. Anziché liste bloccate, ha proposto le preferenze. Quelle preferenze che al Pd non piacciono neppure dipinte. Ma Goffredo Bettini, il Tatarella o se preferite il Letta di Zingaretti, ha capito tutto. E, a scanso di sorprese dell’ultim’ora, non vedrebbe male l’introduzione delle prefe- renze. Perché – spiega – va rafforzato il rapporto tra eletti ed elettori.

Sennonché la predica sulle preferenze viene da un pulpito sospetto. Certo, la democrazia interna dei partiti lascia a desiderare dappertutto. Però mai come nel M5S, un partito di stampo leninista dove non è ammesso il dissenso. Perciò si tratta di una mera mossa propagandistica dal respiro corto. Se son rose, sfioriranno. E ci toccherà ingoiare il rospo di una proporzionale con liste bloccate. A meno che non salti tutto in aria. Dopo tutto, il 20 e 21 settembre stanno dietro l’angolo.