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Neppure una settimana fa, precisamente venerdì scorso, Matteo Renzi aveva scagliato tuoni, fulmini e saette. Per giorni e giorni ha messo tutti sul chi vive: il Guardasigilli Bonafede, contro il quale il centrodestra e la Bonino avevano presentato due mozioni di sfiducia; l’intero governo e Giuseppe Conte in persona. La ridda di Renzi, genio del “particulare” esegeta del Principe di Machavelli
Neppure una settimana fa, precisamente venerdì scorso, Matteo Renzi aveva scagliato tuoni, fulmini e saette. Nemmeno fosse Giove pluvio. Per giorni e giorni ha messo tutti sul chi vive: il guardasigilli Alfonso Bonafede, contro il quale il centrodestra ed Emma Bonino avevano presentato al Senato due mozioni di sfiducia; l’intero governo, che temeva di fare la stessa fine del ministro della Giustizia qualora l’una o l’altra mozione fosse passata; e, manco a dirlo, Giuseppe Conte in persona, man mano che passa il tempo sempre più il suo nemico giurato.
Alla tempesta di parolone consegnate al vento ha fatto però seguito una quiete di leopardiana memoria certificata dai fatti concludenti. Le parolone, per cominciare. Aveva detto: “quello che pronuncerò tra poco davanti all’assemblea di Palazzo Madama sarà il discorso più difficile di tutta la mia vita”. Lasciando intendere che la scelta tra il sì, il no o il ni sarebbe stata particolarmente sofferta. Quasi che lui stesso non sapesse il finale che si accingeva a scrivere. Ma poi deve essere successo qualcosa. E il sospetto è che il presidente del Consiglio pro tempore abbia fatto una contromossa prima che la situazione precipitasse. Memore della battuta rivolta a Franco Evangelisti, braccio destro e sinistro di Giulio Andreotti, “A Fra’ che te serve”, pure lui avrà detto a Renzi: “A Matte’, che te serve?”. E sì, perché Conte sta diventando una volpe di tre cotte. Dimentico che le volpi – parole di Bettino Craxi, che si rivelarono un boomerang – prima o poi finiscono in pellicceria.
Com’è come non è, il senatore di Scandicci, il bullo fiorentino e chi più ne ha più ne metta, cambia da così così. Per qualche minuto lasciando tutti con il fiato sospeso. Sì, perché loda le due mozioni di sfiducia nei confronti di Bonafede. Manca poco che dica che sono l’ottava meraviglia del mondo. E poi che ti fa? Si accuccia ai piedi del premier per caso, del premier a sua insaputa, e ne tesse gli elogi come non avrebbero fatto nemmeno i cortigiani di Napoleone al cospetto dell’Imperatore. Non facendo seguire alle parole i fatti, il suo partito senza pensarci su due volte ha colato a picco le due sullodate mozioni. A maggior gloria di Conte. Qualche ingenuo dirà: ma così ha perso la faccia. Ma l’ex sindaco di Firenze, ex un po’ di tutto, a queste bazzecole non dà la minima importanza. Sennò, tanto per dirne una su mille, non avrebbe detto che se il referendum sulla sua riforma costituzionale fosse stato bocciato, lui e con lui Maria Elena Boschi, se ne sarebbe tornato al paesello natìo. E invece di lasciare – come alla Ruota della fortuna di Mike Bongiorno, alla quale giovanissimo partecipò con successo – lui di continuo raddoppia, triplica, quadruplica e così via. Nella consapevolezza che in guerra si muore una volta sola, mentre in politica si può morire e risorgere fino all’ultimo respiro. Non a caso Amintore Fanfani – il mezzo toscano, il montanelliano Rieccolo per antonomasia al quale vorrebbe assomigliare – ogni volta che usciva con le ossa rotte si consolava constatando che dopo la Quaresima – modestia a parte – c’è la Resurrezione. No, Renzi non bada alle bazzecole facciali. Punta al sodo, al proprio particulare. Non a caso è un ammiratore di Niccolò Machiavelli. A tal punto che un paio di anni fa nel buen retiro di Andrea Marcucci, attuale capogruppo del Pd al Senato – e precisamente al “Ciocco”, a un tiro di schioppo da Barga, in Garfagnana – tenne un ciclo di lezioni sul segretario della Repubblica fiorentina a un centinaio e passa di giovani adoranti. E ora, a differenza di Niccolò Paganini, si è concesso il bis. Però sotto mentite spoglie. Mandando avanti alla Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari di Palazzo Madama il senatore Francesco Bonifazi. Un uomo che ha tante virtù: buon avvocato, intellettualmente vivace e pure simpatico, il che non guasta. Ma si porta come una croce, e per questo va compatito, la nomea di essere più renziano di Renzi. A costo di battere il Guinness dei primati.
In occasione del voto sulla relazione del presidente della Giunta Maurizio Gasparri, che nega l’autorizzazione a procedere nei confronti dell’ex ministro Matteo Salvini, Bonifazi ha svolto un intervento che è un capolavoro sotto il profilo psicologico. Prima ha dichiarato che dalla documentazione risulta il coinvolgimento dell’intero governo, in primis di Conte, sullo stop alla nave Open Arms. E giù un ceffone sul viso del presidente del Consiglio che neppure il Papa, per dirla con Manzoni, te lo può togliere. Subito dopo il miele. Dal momento che la documentazione non è completa, lui sospende il giudizio. È assalito, questo teatrante, dalla mazziniana tempesta del dubbio. Perciò lui e gli altri suoi due cari usciranno dalla Giunta al momento del voto. Facendo stare sulle spine l’inquilino di Palazzo Chigi. Più che un aiuto a Salvini, che non ne aveva bisogno perché il comportamento di Italia viva non è stato determinante, il non voto dei senatori renziani è stato un “avvertimento” a Conte. Che, incredulo, sembra aver recepito il messaggio.
Ma quando l’assemblea di Palazzo Madama a giugno si pronuncerà in via definitiva su Salvini, i diciassette voti di Italia Viva saranno determinanti eccome. Perché a volte i voti non si contano ma si pesano. E se sono determinanti valgono il doppio. Prevarrà il garantismo conclamato da Renzi in più occasioni o il suo tornaconto personale? Vale a dire il proprio particulare raccomandato da Machiavelli per il suo Principe? Voi pensatela come volete. Ma io non punterei neppure un soldo bucato sul primo corno del dilemma. Ma sì, Salvini finirà sotto processo. E, con questi chiari di luna, fidarsi dei giudici è bene ma non fidarsi è meglio. E Matteuccio in cambio otterrà mari e monti. Pensate, ormai con il 2 virgola qualcosa nei sondaggi. Un genio, non c’è che dire, tra tanti dilettanti allo sbaraglio.