Le parole di Mogol questa volta sono arrivate al cuore delle istituzioni europee e non hanno avuto bisogno della musica. Il suo testo aveva un messaggio chiarissimo: tutelare le opere dell’ingegno dallo sfruttamento delle grandi piattaforme digitali. Una battaglia che ha visto proprio il presidente della Siae Giulio Rapetti tra i protagonisti. In questi giorni anche Oltremanica si è suonata la stessa musica con più di 150 artisti, tra i quali i big della musica leggera come Paul McCartney, Chris Martin, Noel Gallagher e Annie Lennox, che hanno inviato una lettera aperta al primo ministro britannico, Boris Johnson, chiedendo al governo di cambiare il modo in cui vengono pagati i diritti dei musicisti quando la loro musica viene trasmessa online. Presidente, due anni dopo il via libera di Bruxelles, anche l'Italia recepisce nel proprio ordinamento la direttiva Ue sul copyright. Un passaggio storico per imprese e autori e una battaglia vinta.  È stata una lunga battaglia, e a vincerla non siamo stati solo noi di Siae, ma tutta l’Italia che, grazie al voto del suo Parlamento, si è dimostrata ancora una volta culla di civiltà come già era accaduto in Europa nel 2019. Non è una battaglia dal colore politico, perché quando si parla di diritti la questione è decidere se stare o meno dalla parte della giustizia e dell’equità. La tutela del diritto d’autore è la missione che rappresenta il cuore dell’attività di Siae, è nel suo Dna. Sapere che il nostro Paese, patria di cultura e bellezza, abbia scelto di difendere arte e creatività anziché arrendersi alla prepotenza delle multinazionali del web ci riempie di orgoglio e soddisfazione, e ci incoraggia a proseguire su questo sentiero: proteggere i diritti di molti, e non i privilegi di pochissimi. Dal primo giorno del suo incarico è andato a Bruxelles per far sentire la sua voce. Insomma gliele ha cantate? Sono stato eletto presidente di Siae all’unanimità e ho accolto la fiducia che mi è stata accordata, sapendo di dovere agire urgentemente e al più presto per difendere quanto c’è di più sacro per i nostri autori: il diritto a vivere del proprio lavoro, dei frutti della propria creatività. Il giorno dopo sono andato a Bruxelles e, incontrando i nostri parlamentari europei, ho rivolto loro queste parole sui giganti del web: “Loro hanno i soldi, noi abbiamo ragione”. Alla fine, la ragione ha vinto sui soldi e sulle pressioni lobbistiche delle grandi piattaforme online. Fortunatamente la stessa logica di buonsenso e civiltà ha prevalso anche in Italia, e per questo non posso che ringraziare tutti i senatori e i deputati che hanno lavorato duramente per realizzare questa grande rivoluzione. Paul McCartney e oltre 150 artisti inglesi hanno scritto una lettera aperta al Primo ministro inglese Boris Johnson per chiedere, in pratica la stessa cosa.  La questione è sentita da tutti quelli che si rifiutano di credere all’assurda e pericolosa menzogna che la libertà che internet ha portato nelle nostre vite coincide con l’idea di gratuità. Il punto è: qui non si parla di libertà ma di equità. A tal proposito, non mi stancherò mai di ricordare – come ha sottolineato anche il senatore Pittella nel suo intervento in Aula il 20 di aprile, riprendendo le mie parole – che è un po’ come andare al ristorante: certo che c'è la libertà di scegliere cosa e quanto si vuol mangiare, ma a fine pasto il conto poi va pagato, non c’è la libertà di alzarsi e lasciare il locale come se niente fosse. Allo stesso modo, le piattaforme digitali sfruttano la creatività degli autori e non pagano il conto in nome di un’idea di libertà che è assolutamente distorsiva. Mi fa piacere che in tantissimi, sia politici che cittadini, grazie all’appello dei numerosi creatori e dei loro rappresentanti, stiano finalmente aprendo gli occhi su una verità ormai evidente. Quale valore ha questa decisione nell’affermare il diritto degli autori?  Questa decisione epocale ristabilisce un principio sacrosanto: l’arte è libera solo se chi la crea può godere dei frutti del proprio lavoro, ricevendo un’equa remunerazione da parte di chi – come le grandi piattaforme online – sfrutta commercialmente le loro opere, dalla musica all’audiovisivo, dai testi letterari alle arti figurative. Con la Direttiva Copyright nell’ordinamento italiano questo principio che appare scontato diventa finalmente legge, imponendo degli obblighi precisi ai giganti del web dopo anni e anni di vuoti normativi. In un momento così particolare per tutte gli autori, e per le tante maestranze che lavorano insieme a loro, questa decisione può rappresentare una boccata d’ossigeno? Anche quando la pandemia sarà finita, lo strascico economico che lascerà sarà drammatico, e gli effetti della sua crisi saranno purtroppo di lungo periodo. Non parliamo solo dei grandi nomi della cultura e dello spettacolo, ma soprattutto dei tantissimi artisti più giovani o meno conosciuti, per i quali il diritto d’autore è davvero l’unica fonte di reddito, e che solo grazie al diritto d’autore possono sopravvivere. L’Unione Europea e l’Italia, con questa legge, stanno dimostrando di avere a cuore non solo la diversità culturale ma anche i tantissimi posti di lavoro delle industrie culturali e creative che, come leggo dall’ultimo studio di Ernst & Young sul settore, in Europa prima del Covid impiegavano più di 7,6 milioni di persone (un numero ad esempio 8 volte superiore rispetto a quello del settore delle telecomunicazioni) che producevano circa il 4,4% del Pil del continente. La Rete potrà diventare un’opportunità per tanti giovani autori e musicisti ad emergere e a sostenerli anche economicamente? La Direttiva aiuta a correggere la grande distorsione del mercato online. Le risorse pubblicitarie si sono spostate dai media tradizionali ai social e le grandi piattaforme online continuano a macinare miliardi attraverso i contenuti creativi che vengono caricati in rete. Questo meccanismo perverso non fa altro che alimentare quello che è chiamato “value gap”, cioè il divario di valore tra quello che incassano i giganti del web e quello che viene restituito a chi crea quei contenuti con il sudore della fronte. Siamo abituati ad essere circondati dalla cultura, ma questa non arriva gratis: richiede investimenti, e questi non possono arrivare se i ricavi vanno altrove. L’art.17 della Direttiva vuole controbilanciare proprio questo squilibrio: mi auguro che il digitale, adesso, inizi a compensare il settore artistico e culturale anche per le ingenti perdite subite a causa dell’emergenza sanitaria. Ora resta da aspettare i decreti attuativi: è ottimista. Continuerà a pressare il nostro governo? Sono estremamente grato al Parlamento italiano per il grande lavoro realizzato negli scorsi mesi che è poi culminato nella vittoria del 20 aprile. Non bisogna abbassare la guardia e tenere sempre in alto la bandiera dei diritti degli autori. Il tempo stringe: mi auguro in questo senso che il governo approvi rapidamente e comunque entro il termine previsto del prossimo 7 giugno il provvedimento attuativo, e che quest’ultimo accolga al meglio i punti-chiave della Direttiva. Ora più che mai è indispensabile avere a cuore il futuro della cultura, che è il seme della democrazia e della libertà vera. Lo spirito che ispira la Direttiva è proprio questo, e noi siamo fiduciosi che il governo sarà fedele all’impegno di lavorare nel nome del futuro, dei diritti dei cittadini e della prosperità del Paese dopo questi mesi terribili.