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Quando è entrato allUnità avrà avuto poco più di ventanni. E una faccia da bambino. Era cicciottello e aveva un sorriso dolcissimo. Lho rivisto per strada, un paio di mesi fa. Era dimagrito molto, stava male, me lo ha detto, però non mi ha fatto capire che la malattia fosse così grave. Aveva sempre la faccia da bambino e un sorriso dolcissimo.Quella faccia tonda tonda e quel sorriso da gatto non erano un aspetto secondario di Stefano Di Michele. Erano la sua quintessenza, lanima. Non era snob, secondo me, era ingenuo e ferocemente critico. In questo ossimoro consisteva il suo famoso snobismo. Ma per essere snob davvero bisogna essere borghesi oppure aristocratici. Stefano era uomo del popolo. La sua forza intellettuale e la sua ironia erano del popolo.Non voglio dire nientaltro su di lui. Però devo raccontare un paio di episodi vissuti durante i dieci anni circa che abbiamo passato insieme, lavorando allUnità. Il primo episodio è sportivo, il secondo è politico.AllUnità la domenica si facevano 16 pagine di sport. E quindi non bastava la redazione sportiva. Tutti facevano i turni allo sport della domenica. Qualche volta toccava anche a Stefano. Il quale conosceva perfettamente il soprannome del vicesegretario della federazione di Rimini del partito liberale, ma ignorava chi fosse Rivera (una volta lo incontrò alla Camera e gli disse che io gli avevo spiegato che lui era stato un grande centravanti. Rivera obiettò, disse che giocava numero dieci e che nessuno che avesse visto una sola partita di calcio negli anni sessanta o settanta poteva pensare che lui fosse stato un centravanti. E infatti io non avevo mai detto a Stefano una simile idiozia, però Stefano insistette e mi fece fare una figura barbina e immeritata col grande Rivera, idolo della mia giovinezza...).Insomma una domenica chiesi a Stefano di passare un pezzo dellinviato, mi sembra ad Ascoli, sulla partita della Juventus. Allora i pezzi si scrivevano sui fogli di carta doppi con la carta carbone in mezzo. Dopo mezzora Stefano mi riportò il pezzo, corretto ben bene, e alla fine del pezzo cera il cosiddetto tabellino: formazione, marcatori, ammoniti, espulsi, angoli. Il tabellino però aveva solo le formazioni. Gli chiesi di scrivere i marcatori. Lui si riprese il foglio e tornò al suo tavolo. Dopo cinque minuti si ripresentò e mi disse, timido timido, che aveva riletto il pezzo e che non cerano i marcatori. Gli chiesi come fosse finita la partita. Mi disse: quattro a uno per la Juve. E allora, obiettai, un po spazientito, come fai a dire che non ci sono stati marcatori? Lui si fece piccolo piccolo e mi chiese con un filo di voce: «Cosa sono i marcatori? » (Per quelli come Di Michele: i marcatori sono quelli che hanno fatto i gol).Poi chiesi a Stefano perché aveva scritto che gli angoli erano stati quattro. Quattro e basta. E lui con un tono stavolta ben deciso, mi spiegò che in un campo di calcio gli angoli comunque sono quattro. (Per quelli come Di Michele: nel linguaggio sportivo per angolo si intende calcio dangolo, cioè tiro da fermo da uno dei quattro vertici del campo, dove cè la bandierina...Decidemmo di esentare Stefano dal lavoro domenicale allo sport. Lui ne fu felice.Il secondo episodio è politico. Era, se ricordo bene, il 1994. Fummo mandati lui ed io a seguire la grande manifestazione del centrodestra - che aveva vinto le elezioni - a Milano. Io ero ancora un vecchio comunista, abituato agli scontri anche fisici e alle mazzate in piazza. Lui aveva 10 anni meno di me, era anche lui comunista ma era molto più moderno di me. E più laico. E più spiritoso.Il comizio di Berlusconi in piazza Duomo stava per finire e noi due decidemmo di andarcene per scrivere i nostri articoli. Sgattaiolammo per stradine laterali e a un certo punto, svoltando langolo, vedemmo che avanzava verso di noi un pezzo di corteo, urlante e minaccioso, pieno di bandiere del Msi. Per me quella era una falange fascista. E per esperienza sapevo sin da ragazzino che se incontri una falange fascista sulla via, devi dartela a gambe. Dissi a Stefano, concitato: Di qui, svelto, prendiamo quel vicolo a destra... . Ma lui non mi ascoltava, aveva alzato le braccia e salutava. Gridava: «Gnazioooo!!! ». Gnazio era La Russa, tutto vestito di nero, sguardo truce, che guidava il corteo. Stefanooo! , gridò la Russa a sua volta, con un gran sorriso, e anche gli altri picchiatori della falange iniziarono a salutare e a sventolar bandiere. Finì con grandi abbracci, e io stavo lì, fuoriposto, stupìto.Stefano ti lasciava spessissimo stupìto. Qualche volta però era lui a stupirsi un po. Per esempio quella volta, quando stavamo a Liberazione (il quotidiano del Prc), e nel giorno in cui si apriva il congresso solenne di Rifondazione Comunista a Venezia, decidemmo di fare uno speciale di otto pagine sulla clitoride e lorgasmo femminile (lidea fu di Angela Azzaro, naturalmente). Stefano lesse il giornale ed era entusiasta. Scrisse una pagina intera sul Foglio. Lidea che i comunisti si occupassero del clitoride anziché delle gabbie salariali lo esaltava.Se ne è andato. E non possiamo neanche piangerlo. Perché io credo che lui non abbia mai pianto in vita sua. A lui piaceva ridere, ridere. Ridere di tutto.