Il direttore della LUISS - School of government, Giovanni Orsina, è cauto sulla prossima manovra di governo e spiega che «non c’è modo di accontentare tutti – anzi, probabilmente alla fine saranno tutti scontenti, e qualcuno ancor più degli altri».

Direttore Orsina, dopo il vertice di ieri riuscirà Meloni a mediare tra Salvini e Tajani sui temi economici?

La mia impressione è che in vista della manovra l’elemento di tenuta più forte sia l’assenza di alternative per tutti. Le risorse sono molto scarse e alcune misure, penso in particolare al taglio del cuneo fiscale, andranno confermate. Non c’è modo di accontentare tutti – anzi, probabilmente alla fine saranno tutti scontenti, e qualcuno ancor più degli altri. Ma nessuno potrà essere scontento al punto da mettere in crisi il governo.

In passato il voto per il Parlamento di Strasburgo ha avuto ripercussioni anche nel panorama nazionale. Crede che sarà così anche stavolta?

Credo che queste Europee siano importanti, anche se forse ne stiamo esagerando l’importanza. La campagna elettorale è già partita, con un anno di anticipo, e il nostro dibattito pubblico, melodrammatico come sempre, per mancanza di argomenti sta facendo di questo voto una specie di giudizio di Dio. Invece, a meno di risultati sconcertanti, non credo che gli equilibri politici italiani, nelle loro linee di fondo, ne saranno sconvolti. Per linee di fondo intendo soprattutto la tenuta sostanziale della maggioranza. Poi, certo, effetti ce ne saranno.

Ad esempio?

In primis bisognerà vedere gli equilibri che si creeranno in Europa, in particolare se e come i Conservatori entreranno in gioco. Poi occorrerà capire se il voto sposterà i rapporti di forza in Italia, soprattutto nel rapporto tra Pd e Movimento 5 Stelle, ma anche in quello fra Fratelli d’Italia e Lega.

Potrebbe essere una prova importante per Forza Italia, chiamata al primo voto nazionale dopo la morte di Berlusconi?

Sicuramente sì. Per Forza Italia questa è una partita di sopravvivenza. Prima dicevo che questa maggioranza reggerà perché non ci sono alternative, ma all’interno della maggioranza sono in corso almeno due partite. La prima, come detto, è quella del rapporto tra Fratelli d’Italia e Lega: vedremo se Salvini riuscirà a strappare dei voti a Meloni. L’altra è proprio la tenuta di Forza Italia, la quale tuttavia, anche se dovesse andare molto male, non dovrebbe comunque avere interesse a mettere in pericolo il governo. Poi, certo, una Forza Italia in grande difficoltà potrebbe aprire degli interrogativi anche nella maggioranza.

Tra chi scommette tutto su questo voto c’è Matteo Renzi, con il suo progetto del Centro. La convince?

Mi sembra un’operazione molto difficile. Quella del centro è una posizione scomoda ed è sempre stato così, almeno da quando il sistema bipolare è entrato nella testa degli italiani. E sarà ancor più complicato se Meloni e Schlein dovessero entrambe candidarsi così da polarizzare il dibattito. A quel punto lo spazio per un eventuale terzo polo si restringerebbe ancora di più.

Dalle colonne di questo giornale Ettore Rosato ha insistito nell’alleanza tra tutti i moderati. La vede ancora possibile?

In termini politici Rosato ha ragione, servirebbe un grande blocco con una leadership forte, ma poi ci sono le questioni personali. I potenziali centristi non si fidano di Renzi, così come non se ne fidano più gli elettori, dal 2016. E questa è la tragedia dell’ex presidente del Consiglio, che rimane uno dei massimi talenti politici degli ultimi anni ma che per ragioni caratteriali si è bruciato agli occhi sia dell’opinione pubblica sia dei potenziali alleati. Dopodiché, lui è bravissimo a cogliere le occasioni, e se dovessero presentarsene sarebbe il primo a sfruttarle.

Sia Renzi che Calenda sosterranno la riforma della giustizia del ministro Nordio, che provoca però attriti in maggioranza. Vedrà mai la luce?

Sulla giustizia temo che il compromesso sarà al ribasso. Realisticamente non mi sembra ci siano grandi spazi di movimento a motivo sia delle fratture interne alla maggioranza, sia della forte contrarierà del potere giudiziario. Lo dico a malincuore.

Un altro testo di cui si discute è quello della riforma istituzionale. Crede che si arriverà all’elezione diretta del presidente del Consiglio?

Vale più o meno il discorso che ho fatto per la riforma della giustizia. Una riforma istituzionale che rafforzi il potere esecutivo e ne razionalizzi i rapporti con quello legislativo resta a mio avviso indispensabile. Ma nel momento in cui la proposta di questo governo sarà presentata, dovesse pure essere modestissima, tutte le ormai arcinote forze della conservazione istituzionale che hanno boicottato qualsiasi modifica negli ultimi quarant’anni si metteranno in moto. Partito democratico e Movimento 5 stelle saranno certamente e aprioristicamente contrari. L’argomento del ritorno del fascismo sarà utilizzato a piene mani: lo è stato per la riforma di Renzi, figurarsi per quella di Meloni. Insomma: per la riforma delle istituzioni, così come per quella della giustizia, Meloni dovrebbe investire un capitale politico notevole. Da cittadino mi auguro che lo investa, ma da analista penso pure che non le convenga farlo.

Da Cutro al caso Giambruno, fino alle conferenze stampa saltate da Meloni: crede che questa maggioranza abbia un problema comunicativo?

Nessuno riesce più a gestire in maniera adeguata la comunicazione, perché i tempi sono rapidissimi e la sfera mediatica è isterica, sovreccitata e alla ricerca permanente dell’indignazione. Giambruno, ad esempio, a mio avviso ha detto una cosa di assoluto buonsenso. La cagnara che ne è seguita è stata strumentale. Dopodiché, di fronte a questa difficoltà strutturale la scelta del governo mi pare sia quella di parlare il meno possibile. Non è un caso se le polemiche nei primi mesi di governo sono scaturite dalle uscite di ministri e sottosegretari, e le ultime invece da Vannacci e Giambruno. La strategia del silenzio a mio avviso è efficace. Anche perché l’opinione pubblica è stanca di chiacchiere e assuefatta alle esplosioni di indignazione.