«Serve uno scatto. Sulla prescrizione confido che non ci siano ulteriori ripensamenti, non avrebbe senso». Il ministro della Giustizia Andrea Orlando si rivolge ai gruppi della maggioranza, e in particolare ad Area popolare, che oggi votano in Senato sulla riforma del processo penale. Lo fa in un’ampia intervista al Dubbio con cui spiega anche quanto sia difficile riformare la giustizia senza una maggioranza omogenea: «Siamo partiti dalle posizioni diametralmente opposte delle due forze principali, Pd e Ncd, eppure molti provvedimenti sono andati a segno». Ma a Orlando non sfugge la necessità di «un Pd che sappia sì resistere alla tentazione dell’autosufficienza, ma che proponga in futuro anche una risposta propria e originale al populismo di destra». E in proposito prende un impegno per «una legge sull’equo compenso per gli avvocati». Una risposta indispensabile «se si vuole rimettere in equilibrio il rapporto tra chi esercita l’attività forense e i grandi committenti, a cui la logica del mercatismo puro dà un potere contrattuale assoluto».Mentre parliamo si vota sulla prescrizione. Materia tecnica diventata incredibilmente delicata dal punto di vista politico. Davvero si può intervenire su questioni del genere con una maggioranza nata da larghe intese?In generale credo che il tema della giustizia sarebbe gestibile con più omogeneità e linearità nel quadro di una maggioranza compiutamente di centrosinistra. Ho sempre ricordato le distanze enormi tra i programmi elettorali del Pd e quelli del centrodestra. Abbiamo dovuto partire da lì. Il che non ci ha impedito di correggere alcune tracce che il centrodestra aveva lasciato in materia di giustizia.A cosa si riferisce in partcolare?Al famoso falso in bilancio, all’epoca oggetto di una battaglia durissima tra governo e opposizioni. O all’autoriciclaggio, che per la destra era sempre stato un tabù, approvato con il ddl sulla criminalità economica. Pensiamo pure alle unioni civili, su cui c’è stata sì una mediazione estenuante ma anche una risposta finale non scontata, se si considera che su questi punti il centrosinistra al governo non era riuscito a tagliare il traguardo. In astratto avere una maggioranza non omogenea non ci ha aiutato, ma questo non ci ha impedito di arrivare a provvedimenti di rilievo.È vero anche che su misure come la responsabilità civile la dialettica con l’Ncd sembra essere stata utile.Finché la dialettica è stata tra forze che avevano una tenuta sono venuti anche dei frutti positivi. È chiaro che nel momento in cui si increspa il quadro politico questo rapporto rischia di sterilizzarsi. Va anche detto che in questi anni è cambiato l’approccio del Pd sui temi della giustizia, e lo si può dire più in generale anche di altre forze del centrosinistra. La rivendicazione dell’autonomia della politica, in quest’ambito, è cresciuta.Ma al di là del voto di domani in commissione, le frizioni nell’Ncd possono paralizzare il governo sulla giustizia in modo irreparabile?Il problema riguarda essenzialmente la giustizia penale. Noi abbiamo in cantiere anche molti provvedimenti che riguardano la giustizia civile, per esempio sul fallimentare, e lì non vedo particolari complicazioni: il lavoro insomma su altri fronti va avanti, ma certo sulla giustizia penale il mancato accordo rischia di compromettere un’azione che ha un’ambizione forte. In quel disegno di legge non c’è solo la modifica della prescrizione né solo le intercettazioni: c’è la revisione dell’impianto del processo penale nel suo insieme. È un’opera di manutenzione straordinaria, che dovrebbe assicurare un sistema processuale molto più rapido.Almeno in commissione i dettagli sembrano definiti, a cominciare dall’entità dell’aumento dei termini per la corruzione. Resta in bilico un eventuale ripensamento sulle sospensioni in caso di perizie o rogatorie.Guardi, io sono andato al confronto con la massima apertura. Arrivati a questo punto era importante chiudere: il rischio era che ogni volta potesse venir fuori una questione nuova. E che si finisse un po’ come la favola di Bertoldo che, dovendo impiccarsi chiese di poter scegliere l’albero, solo che l’albero non si trovava mai e alla fine scelse un filo d’erba... Lo dico anche nell’interesse di un lavoro che è stato comune. Questo non è il mio testo, ma quello uscito dal Consiglio dei ministri, quindi condiviso da tutto il governo, poi approvato dalla Camera e condiviso in larga parte dall’Ncd, con la sola eccezione della prescrizione. Sarebbe un peccato compromettere tutto l’enorme lavoro, frutto anche di commissioni ministeriali in cui si sono impegnati avvocati e magistrati, per un dissenso su una singola questione o per la continua individuazione di problemi.Ormai siamo alla stretta finale, anche se la prova dell’Aula non è mai vinta in partenza, come dimostra la legge sulla tortura.Io ho messo nel conto che la prescrizione non sarebbe stata quella che avrei voluto e auspicato, credo che anche l’Ncd debba mettere nel conto la stessa eventualità.In generale i provvedimenti sulla giustizia sono diventati una specie di test di presentabilità: o scegli una certa strada o arrivano i cinquestelle e ti accusano di essere complice dei corrotti. È tempo che la politica si affranchi da questa retorica?È sicuramente importante liberarsene ma credo che in parte lo si sia già fatto. L’abitudine a inseguire questo discorso si è abbastanza ridimensionata. Credo anche per merito del presidente del Consiglio, che ha rivendicato l’autonomia della politica e un diritto a rifiutare quel teorema. Un teorema che non aiuta, soprattutto quando si tratta di contrastare fenomeni che andrebbero affrontati insieme: è il caso della corruzione ma anche della criminalità organizzata. Se io sono in dubbio su un aumento di pena o se mi preoccupano gli effetti di uno strumento che può avere un impatto negativo sulle libertà personali, e per questo immediatamente divento corrotto o mafioso, la conseguenza è semplice: non si riesce mai a costruire un fronte unitario per la lotta a questo tipo di fenomeni. Corruzione e criminalità diventano il pretesto per contendersi qualche voto e non il bersaglio dell’azione politica. Puntare sempre su ciò che manca anziché su quello che si riesce a fare insieme, è un modo per indebolire la lotta a questi fenomeni.A proposito di coesione: alle prossime elezioni vede un Pd ancora alleato con una parte dei moderati o da solo, a vocazione maggioritaria, nel campo del centrosinistra?Naturalmente dipenderà dalla legge elettorale con cui si voterà, dal fatto che l’italicum venga modificato oppure no. Ma in generale sono convinto che il Pd non debba mai indulgere in un atteggiamento di autosufficienza. Mi ha sempre colpito il fatto che la Democrazia cristiana, che aveva vinto le elezioni del 1948 con una maggioranza pressoché assoluta, decise di costruire un rapporto con i partiti laici perché riteneva che per cambiare un Paese fosse necessario il consenso più largo possibile. E attenzione: parliamo di elezioni con un’affluenza del 90%. L’allargamento delle alleanze come condizione per fare riforme strutturali diventa ancora più urgente e drammatico nel momento in cui alle urne ci va poco più della metà degli elettori, come accade oggi. Non si può essere autosufficienti proprio perché chi vince le elezioni rappresenta solo una parte del Paese. Perciò considero la necessità di interloquire con gli altri una ricchezza, non una debolezza. E questo è anche un antidoto all’identificazione di un partito con la macchina dello Stato. Stare da soli e sentirsi il tutto non è mai utile.Ma vede interlocutori a sinistra del Pd con cui costruire una futura maggioranza?Be’, sarei poco onesto a negare che, ad oggi, ci sono distanze enormi, che si sono acuite in poco tempo. Questo non mi fa desistere dall’idea che un rapporto vada ricercato. Serve a livello locale, dove il doppio turno nei comuni richiede un’interlocuzione con quel pezzo di elettorato, ma serve anche perché c’è un’altra parte di elettori che di fronte alle divisioni a sinistra decide di starsene a casa. È un tema su cui dobbiamo essere attenti. Certo, un ostacolo su questo viene da quegli ex che sono passati con la sinistra radicale. È una dinamica ricorrente nella storia della sinistra: gli ex remano sempre contro qualunque forma di dialogo.Come può rispondere la sinistra al populismo di destra su banche, Europa, austerity?A voler essere sintetici direi con l’integrazione e l’uguaglianza. Il che vuol dire che l’integrazione tra i Paesi europei deve avere un contenuto diverso rispetto a quello degli anni scorsi. Si deve rispondere all’impoverimento di una parte della società: senza l’eguaglianza va in crisi il processo dell’integrazione europea. Ma è vero pure che senza questo processo è difficile trovare misure per contrastare gli effetti negativi della globalizzazione.Sarebbe un’Europa completamente diversa.Ma necessaria per replicare al racconto che le destre fanno della globalizzazione. Come spiega Bauman noi abbiamo società inquiete, la globalizzazione ha avuto un prezzo alto per ceti popolari e classe media: la destra sceglie di volta in volta dei bersagli: ora la casta, poi le banche o l’Europa. Non che questi bersagli siano scelti sulla base di un’analisi del tutto infondata, ma sono verità parziali. La sinistra deve avere il coraggio di dire la verità per intero: e cioè che queste diseguaglianze derivano da un meccanismo di produzione e distribuzione della ricchezza che ha avvantaggiato pochissimi e ha svantaggiato grandi masse di produttori e cittadini. Se la globalizzazione ha delle vittime, noi dobbiamo avere il coraggio di individuare i carnefici. Se no è come un giallo in cui non c’è l’assassino.Come si inverte la rotta se non si accorcia la distanza tra istituzioni europee e cittadini?Non lo si fa: è proprio la mancanza di legittimazione democratica che ha consentito all’Unione europea di portare avanti politiche di austerità a prescindere dalla condizione materiale delle persone. Se già ci fosse una federazione di Stati basata su una forma di autentica rappresentanza popolare la svolta sarebbe iniziata già da tempo.A proposito di politiche economiche e di classe media: è in corso un dialogo tra il suo ministero e il Consiglio nazionale forense per una legge sull’equo compenso per gli avvocati. A 10 anni dall’abolizione delle tariffe professionali, questa legge è un obiettivo raggiungibile?Innanzitutto penso che considerare gli avvocati come erogatori di un servizio qualunque sia stato un errore. L’idea che l’unico meccanismo con cui intervenire sia incentivare la competizione tralascia un dato: la competizione si è già sviluppata in modo selvaggio perché una carenza di programmazione ha fatto arrivare il numero degli avvocati a 240mila. Con la conseguenza di una fortissima crisi e di un fenomeno di proletarizzazione della professione forense. E questo rischia di incidere non solo sulla qualità della professione ma addirittura sulla tenuta democratica.A cosa si riferisce?A quell’impoverimento di un pezzo di classe media che rischia di generare posizioni populiste e anti sistema. Perciò ho cercato di sostenere in questi anni una terza via tra una logica mercatista e quella meramente corporativa: la professione si deve innovare, e abbiamo provato a farlo con la legge di riforma dell’ordinamento forense, ma nemmeno si può sottoporre l’avvocatura a delle cure da cavallo. L’impatto della globalizzazione sulla professione e l’aumento del numero di professionisti hanno già avuto effetti sul reddito medio degli avvocati.E come si argina tutto questo?Dobbiamo fare una sorta di politica industriale per guidare questa trasformazione. In parte lo abbiamo fatto con l’introduzione dei parametri, con gli strumenti che riguardano la formazione, con una regolamentazione più rigorosa della deontologia, e anche con le modalità di accesso al ruolo di cassazionisti. Ma adesso, e questo è anche l’impegno che ho assunto all’inaugurazione dell’anno giudiziario del Consiglio nazionale forense, dobbiamo provare a dare sollievo a un pezzo di avvocatura che soffre di più. E in questo senso la questione dell’equo compenso credo abbia sicuramente una rilevanza. Ci muoviamo all’indomani della firma di un decreto che consente la compensazione tra debiti tributari e crediti per il patrocinio a spese dello Stato, che consentirà di rimediare ai pagamenti ritardati da parte dei tribunali.Su questo l’Ue potrebbe opporsi per violazione delle direttive sulla libera concorrenza.Non possiamo prescindere dalla legge europea, ma dobbiamo partire da un punto: dall’enorme sperequazione che si è creata tra committente e professionisti nei casi in cui il committente è un grande soggetto economico o finanziario. Mi auguro che l’Antitrust e anche l’Unione europea tengano conto di questo squilibrio che nel tempo si è determinato e che genera un’alterazione del mercato.Il processo civile telematico ha consentito risparmi ma a volte si infrange su intoppi dei sistemi informatici: in che tempi prevede che la situazione sarà stabilizzata?Quest’anno supereremo i principali inconvenienti, cioè i black out periodici e la carenza di assistenza. Abbiamo stanziato 140 milioni di euro oltre ai 70 dello scorso anno, per l’informatizzazione. Quest’anno potremo fruire per la prima volta di fondi comunitari per l’implementazione del sistema, aggiuntivi agli altri 140 milioni. I risultati verranno. Anche se talvolta le manifestazioni di insofferenza sono un po’ eccessive: non è che quando c’erano le cancellerie funzionavano 24 ore su 24. Adesso questa copertura permanente c’è, se si interrompe ogni tanto si può comunque dire che l’accesso al servizio è stato ampliato.C’è allarme nelle sedi giudiziarie a rischio soppressione: prima di procedere avrà un nuovo giro di consultazione con avvocatura e magistratura?Assolutamente sì, non appena otterrò il parere del Csm sul lavoro delle due commissioni costituite per la revisione del Csm stesso e della geografia giudiziaria, avrò un confronto con l’Anm e con il Consiglio nazionale forense per valutare anche le posizioni che emergeranno da parte avvocati e magistrati.A proposito di Csm: il sistema per l’elezione dei togati verrà riformato dal governo in modo da dare spazio anche ai magistrati non legati alle correnti?Questo è l’obiettivo che ci siamo dati. Non appena avrò il parere del Csm, comincerò a lavorare su un articolato che porterò dopo l’estate in Consiglio dei ministri.