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Sarebbe intellettualmente onesto, istituzionalmente dovuto e politicamente responsabile riconoscere a l Presidente del Consiglio dei ministri il merito che gli spetta: avere saputo posizionarsi nella arena di gioco delicatissima che si è prospettata nel Consiglio europeo, avere saputo arrivarci dopo una meticolosa tessitura di relazioni basate su dialogo e fiducia con gli interlocutori chiave, iniziando da Angela Merkel e Emmanuel Macron, essersi avvalso di una Rappresentanza italiana attenta e preparata, avere giocato in tandem con la voce italiana nella Commissione europea.
Adesso si gioca il riflettore si sposta dentro al paese. A più livelli, certo, come abbiamo molto bene inteso ascoltando e seguendo i riflessi e le eco delle campagne elettorali regionali rispetto agli equilibri della maggioranza di governo in parlamento. Ma la partita adesso va giocata in Italia, come paese. Una partita complessa, certo, ma che in fondo si qualifica in poche parole: una responsabile, verificabile e lungimirante attuazione. Si tratta di mettere in piedi il meccanismo di garanzia e di governo dell’attuazione. La cultura italiana si scontra qui con una carenza di lungo periodo: siamo poco abituati a governare i cambiamenti e le innovazioni in modo coeso e trasversale ai ministeri, un po’ perché abbiamo scontato per anni il fatto di non avere costruito un’alta dirigenza formata in modo trasversale per operare come àncora nella macchina attuativa delle politiche, in particolare di quelle infrastrutturali che necessitano della co- partecipazione di ministeri chiave chiamati ad agire di concerto; un po’ perché nella composizione degli esecutivi di coalizione le logiche che guidano la politica nei diversi ministeri non necessariamente segue una idea univoca di bene del paese, quand’anche un’idea di parte politica, ma una sola ( ne vediamo sovente molte e molto variabili nell’arco della legislatura); un po’ perché, ed è il problema più serio in realtà, non abbiamo sviluppato una forte cultura del monitoraggio e della valutazione, la quale necessita di una metodologia rigorosa, posta al riparo da ogni intemperie di carattere elettorale, e di una tecnica della misurazione dei risultati che va di pari passo con la raccolta regolare di dati e di evidenze empiriche comuni e condivisi per il paese.
Una proposta in cinque punti per un meccanismo di garanzia e di governo dell’attuazione: la composizione: politico- tecnica e scientifica, integrato dalla partecipazione degli stakeholder strategici, in modo che i costi di monitoraggio non si alzino perché ci sono troppe voci e troppi momenti di condivisione informazioni e ripristino della memoria storica; la durata: deve avere una durata continuativa di quattro anni e deve svolgere una funzione di garanzia anche della continuità rispetto alle fisiologiche discontinuità dovute alle ciclicità elettorali.
i profili di competenza: dovrà opportunamente fondarsi su tre componenti, una politica una scientifica ed una tecnica comprensiva sia dei profili ( politici, scientifici e tecnici) che insistono sulle tre macro aree tematiche che sono in agenda strategica dell’Unione europea cosi come si configura il budget 2021- 2027 ( è opportuno che le progettualità si “parlino”, sia quelle finanziate dal recovery sia quelle finanziate dal budget europeo ordinario): digitale, economia, ambiente e salute. il tratto evidence- based e data- reuse: in linea con gli standard UE e gli standard OCSE, dovrà insistere su un processo di raccolta dati e evidenze empiriche curato da tutte le istituzioni che si occupano di questo a partire dall’ISTAT senza che vi siano duplicazioni o frammentazioni di banche dati: la credibilità della politica del dato per l’Italia è questione cruciale il metodo: meccanismo dovrà avere un ciclo di produzione annuale: si parte con la consultazione degli stakeholders, si monitorano le azioni in corso sulla base di un cruscotto di controllo il più possibile legato ad automatismi di raccolta dati, si valutano i risultati e si comunicano i risultati con tre stili comunicativi integrati in rapporti politici, scientifici, e tecnici, sia alla cittadinanza, sia alla imprenditoria, sia all’Unione europea.
La presenza di stakeholders di valore strategico ha una doppia funzione: essi saranno capaci di apportare alla politica che programma i piani di azione le conoscenze necessarie per rendere il recovery fund una realtà comportamentale innovativa regolativa e di crescita e sviluppo, essi saranno capaci di svolgere un ruolo di contrappeso rispetto alla fisiologica alternanza politica, essi saranno capaci di conservare anche alla fine del finanziamento la memoria la conoscenza e il valore aggiunto prodotto attraverso la partecipazione al recovery plan. Una metodologia tempestiva e rigorosa. Abbiamo mostrato di sapere vincere partite difficili, adesso dobbiamo dimostrare al paese – dunque a tutti noi – di sapere navigare in mare aperto senza perderci. Ognuno puo’ fare il proprio: ognuno lo deve fare.