«È diventato pericoloso battersi per ciò in cui si crede, soprattutto in questo contesto di cancel culture. Kirk mi ha dato la sicurezza di potermi battere per quello in cui credo». Questa dichiarazione di uno studente della Utah Valley University, raccolta dal New York Times, dà la dimensione dell’attenzione rivolta a Charlie Kirk tra gli elettori conservatori più giovani. L’attentato in cui è stato ucciso in un campus in Utah il cofondatore dell’organizzazione “Turning Point Usa” potrebbe acuire le contrapposizioni ideologiche oltreoceano. Secondo Gianluca Pastori, professore associato di Storia delle relazioni politiche tra Nord America ed Europa nell’Università Cattolica di Milano ed esperto di Relazioni transatlantiche dell’Ispi, il tono con cui Donald Trump ha commentato la morte di Kirk è solo apparentemente soft. «La moderazione di Donald Trump – commenta Pastori - corrisponde più che a una scelta di consapevolezza a una valutazione tattica della situazione. In questo momento Trump ha in qualche modo interesse a presentarsi come il politico equilibrato».

Professor Pastori, l’omicidio di Charlie Kirk esaspererà gli animi negli Stati Uniti?

Sicuramente questo gravissimo episodio sarà sfruttato per alimentare le tensioni. La Casa Bianca ha già preso una posizione molto dura, considerando in qualche modo Kirk una specie di eroe del movimento MAGA e ha approfittato dell’omicidio per lanciare una campagna molto dura contro quella che Trump ha definito la sinistra radicale. Quindi, una volontà di sfruttare quello che è successo ai fini politici è evidente. D’altro canto, possiamo aspettarci che un irrigidimento delle posizioni di Trump corrisponderà a un irrigidimento parallelo del fronte antidemocratico.

Donald Trump è comunque apparso piuttosto equilibrato nel commentare l’assassinio, nonostante ci abbia abituato a sparate molto dure sul suo social. Anche il presidente degli Stati Uniti è consapevole della delicatezza del momento e dei rischi che lui stesso potrebbe continuare a correre?

Penso che la moderazione di Trump corrisponda più che a una scelta di consapevolezza, a una valutazione tattica della situazione. In questo momento il presidente degli Stati Uniti ha in qualche modo interesse a presentarsi sulla scena pubblica come un politico equilibrato. Anzi, da un certo punto di vista, più Trump appare equilibrato più riesce a fare apparire “sotto le righe” quelli che sono i suoi oppositori.

In merito campagna comunicativa del presidente statunitense, lei pensa che si possano abbassare i toni dopo questo omicidio con un cambio di rotta?

È difficile, prima di tutto perché Trump è un personaggio dai toni estremi. E poi, soprattutto, non dobbiamo dimenticare quanto è accaduto l’altro giorno. Interpretare quello che è successo necessariamente come un atto di violenza politica, o meglio politicamente motivata, potrebbe anche essere prematuro.

La morte di Charlie Kirk potrebbe indurre l’amministrazione Trump, come per la materia dell’immigrazione, a calcare la mano con provvedimenti per reprimere il dissenso?

È difficile che ciò accada, dato che l’immigrazione in qualche modo tocca un nervo scoperto degli Stati Uniti. Anche una certa fascia di elettorato democratico, pur non condividendo le politiche di Trump, è preoccupata per il fenomeno dell’immigrazione. Mentre la questione delle libertà individuali è molto più sentita. Ed è molto più sentita anche all’interno di una certa fascia di elettorato, in questo caso repubblicano, che è disposta a seguire Trump, ma fino a un certo punto, a condizione che non vada a toccare quelle che sono considerate delle “linee rosse” riguardanti la convivenza tra gli americani.

Il trumpismo è intriso di ideologia. Opinionisti, influencer che si rivolgono ai più giovani, think tank di vario tipo. È questa la vera novità del secondo mandato alla Casa Bianca del tycoon?

Da un certo punto di vista, sì. Questo aspetto è stato chiaro sin dal momento dell’elezione di Trump e del suo insediamento. Trump, dopo la vittoria elettorale del 2024, è molto più solido di quello che è arrivato alla Casa Bianca nel 2016, è molto più sicuro di sé, dotato di una narrazione politica molto più coerente, dotato di collaboratori molto più fedeli. Da non tralasciare anche il meccanismo di costruzione del consenso ancora più raffinato.

Il trumpismo continuerà anche dopo l’esperienza alla Casa Banca del tycoon? L’attuale vicepresidente J.D. Vance è l’erede naturale e sarà il custode del trumpismo?

Questa è una domanda che richiederebbe una sfera di cristallo. Non so se potremmo continuare a parlare di trumpismo, dopo la fine dell’esperienza politica di Trump. Il problema di J.D. Vance in questo momento è quello di riuscire a crearsi una propria identità e di non essere semplicemente una sorta di clone di Donald Trump. La sfida più grande delle prossime elezioni presidenziali sarà trasformare il trumpismo in qualcosa capace di vivere senza Trump. J.D. Vance è un vicepresidente molto, molto attivo, questo è indubbio. Si tratta di capire se il suo protagonismo sarà qualcosa che gli appartiene in tutto e per tutto per costruirsi un’immagine forte e credibile.

L’attacco russo con i droni che ha interessato la Polonia farà risvegliare l’interesse degli Stati Uniti per la fine guerra in Ucraina in tempi rapidi, dopo una fase di stallo e dopo il nulla di fatto del vertice di Ferragosto in Alaska?

Credo che la vicenda dei droni fosse in larga misura finalizzata a attirare l’interesse statunitense. Da parte della Russia c’è stata l’esigenza di saggiare la capacità di risposta militare occidentale e la reazione dell’opinione pubblica occidentale, europea soprattutto. Senza tralasciare il fatto che nelle ultime settimane abbiamo assistito ad un irrigidimento della posizione americana nei confronti di Putin e quanto accaduto tre giorni fa potrebbe essere stata la risposta.