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Non sono i giudici. Penso che non sarà la solita ' pratica a tutela', peraltro in un Consiglio Superiore della Magistratura non proprio nelle migliori condizioni di credibilità per l'inquietante affare Palamara, chiamiamolo così, a poter chiudere nel solito modo indolore le polemiche sul clamoroso caso della giudice Alessandra Vella. Che ad Agrigento, forse scambiata dalla tedesca Carola Rackete per ragioni un po' anagrafiche e un po' culturali per lo storico giudice di Berlino immortalato da Bertold Brecht, le ha fatto praticamente vincere, almeno nell'immaginario collettivo, la partita ingaggiata contro il governo italiano, nella persona del vice presidente leghista del Consiglio e ministro dell'Interno Matteo Salvini, sbarcando con la forza un suo carico di migranti nel porto di Lampedusa.
Il mugnaio del racconto di Brecht, alla ricerca di un giudice davvero imparziale e coraggioso, non intimidito dal prepotente di turno, in questo caso è proprio Salvini. Che, al netto delle sue esuberanze verbali, cerca giustizia, convinto di non averla ottenuta dalla magistrata di Agrigento, avventuratasi secondo lui in una interpretazione della legge tanto temeraria da capovolgerla. Egli è sicuro di avere messo in sicurezza dal primo momento i migranti soccorsi dalla Rackete alleggerendone via via il carico durante il trasporto, ad ogni insorgenza di una difficoltà sanitaria o di altri rischi concreti.
Il problema alla fine era diventato, per il ministro, non umanitario ma tutto politico, o strumentale: da una parte la sua volontà di distribuire tra più Paesi i migranti custoditi dalla comandante della nave battente bandiera olandese, dall'altra la volontà della comandante di scaricarli, o affidarli, tutti all'Italia, forte anche dell'intervenuto arrivo a bordo di parlamentari italiani dell'opposizione. Dei quali è francamente ingenuo, se non azzardato, sostenere che vi fossero saliti solo per quell'attività ' ispettiva' conclamata, e non anche, o soprattutto, per rafforzare nella partita in corso la posizione della comandante della nave rispetto a quella del ministro, e del governo da loro contrastato a quel punto ben al di là e al di fuori del Parlamento.
Fatta salva ciò che invece Salvini non vuole salvare, cioè la buona fede della giudice che ha dato torto a lui, e ai pubblici ministeri, e ragione all'indagata, liberandola dagli arresti peraltro domiciliari, e non davvero in carcere, dove forse sarebbe finito chiunque altro accusato degli stessi e molteplici reati, la signora Vella potrà difficilmente negare che il pur legittimo esercizio delle sue funzioni si è tradotto in un concorso, in una partecipazione, chiamatela come volete, alla gestione del complesso e non certamente secondario fenomeno dell'immigrazione.
Uno degli effetti della scelta compiuta dalla giudice è l'incoraggiamento che potrebbero avere avvertito altre navi e altri comandanti a seguire nei soccorsi in mare l'esempio della Sea Watch 3 e della sua comandante, così visibilmente orgogliosa d’altronde del modo in cui si è chiusa la sua impresa. Non meno incoraggiati potrebbero essersi sentiti, volente o nolente la giudice di Agrigento, quei trafficanti di carne umana che mettono in acqua la loro mercanzia contando sul soccorso che potrebbero ottenere alleggerendo dei costi la loro rivoltante attività, non meno odiosa delle violenze che le loro vittime avevano appena finito di subire a terra, in Libia e altrove.
A questo punto la giudice di Agrigento mi e ci consentirà di chiedere, con tutto il rispetto dovuto alle sue funzioni, in quanti debbano occuparsi della gestione dei migranti. Ne reclama giustamente il diritto e il dovere lo Stato attraverso il governo, che ne risponde al Parlamento, e i suoi organi periferici. Ne reclamano il diritto i sindaci e, più in generale, gli amministratori locali, che rivendicano le loro competenze sino a contestare le leggi dalle quali si sentono limitati, per cui si appellano alla Corte Costituzionale perché le vanifichino. Ne reclama il diritto il volontariato, laico o religioso che sia, offrendosi ad assumere l'onere dell'accoglienza senza tuttavia assumersi alcuna responsabilità, per cui è potuto accadere l'anno scorso, per esempio, che molti migranti scaricati dalla nave Diciotti a Catania siano stati accolti in case religiose per uscirne il giorno dopo e diventare clandestini, ingrossandone il fenomeno.
Ogni tanto avverte la competenza dell'immigrazione, con sporadiche dichiarazioni di qualche leader, persino l'Unione Europea, che è poi la vera destinazione cui ambiscono i migranti, ma i signori di Bruxelles, Berlino, Parigi e dintorni, così solerti a contendersi e a distribuirsi le cariche comunitarie a ogni scadenza, non riescono dannatamente ad accordarsi mai su come interessarsi davvero di questi disperati, uscendo quindi da una sostanziale e odiosa indifferenza. Che non bisogna scomodare Antonio Gramsci per definire quella che è: inciviltà. In tanta confusione di competenze, vere o presunte, reali o finte, tutte comunque a responsabilità inevitabilmente non limitate ma limitatissime, la magistratura ha voluto assumere un ruolo per nulla secondario su cui ha espresso un giudizio severo un magistrato di lungo corso come Carlo Nordio. Che ha scritto di un ' diritto', oltre che di una giurisprudenza, di una ' volatile aspirazione metafisica', nelle cui maglie si confondono alla fine sia i criminali sia chi li combatte. È una ragione in più- direi- per reclamare ordine anche in questo campo con una riforma della Giustizia che non può diventare un pericolo, anziché un dovere o un'opportunità, solo perché reclamata dal partito che è diventato il più votato d'Italia.