Il manifesto del Consiglio degli Ordini Forensi d’Europa (CCBE) è una piattaforma per programmare gli interventi, in ambito comunitario, anche nella giustizia. «Questo documento offre un’occasione di confronto che va colta senza esitazioni», evidenzia Francesco Greco, presidente del Consiglio nazionale forense.

Presidente Greco, il “Manifesto del CCBE” è uno sprone per aprire in Europa una nuova fase nella giustizia?

I cinque punti del manifesto sono condivisibili. Sarebbe opportuno che il Parlamento europeo li prenda in considerazione, impegnando gli eurodeputati e la prossima Commissione europea. L’Europa non può continuare ad essere solo un’unione monetaria. Io credo che l'Unione Europea debba diventare un’unione dei diritti. Diventeremo veramente cittadini europei quando si realizzerà un'unione dei diritti. Occorre senza dubbio che ci sia una presa di posizione del Parlamento europeo, mi ricollego al secondo punto del manifesto del CCBE, per fare in modo che il processo legislativo dell'Unione Europea sia guidato da standard che abbiano un impatto positivo sull’amministrazione e sulla giustizia. Rispetto agli altri punti del manifesto, aggiungo che hanno un valore importante in quanto possono aiutarci ad avvicinarci all'Europa al di là dell'euro.

Dunque, europei a partire dai principi di diritto condivisi?

L’unione dei diritti alla quale facevo cenno poco fa dovrebbe indurci ad ipotizzare principi comuni di diritto civile, ma anche di diritto penale. I principi di diritto penale, bene o male, sono più omogenei, perché la violazione della norma penale è sempre sanzionata. Ci può essere lo Stato che sanziona la violazione in una misura maggiore, che concede attenuanti rispetto ad un'altra realtà giuridica, ma alla fine c'è sempre la reazione dello Stato verso il cittadino che viola la legge penale. Nel diritto civile, il diritto che riguarda la gestione quotidiana delle nostre azioni, il nostro agire, i rapporti tra i cittadini, sono indispensabili alcuni interventi. In passato si è tentato di pensare a un diritto civile europeo, promosso dalle università. Un tentativo, che, però, non ha sortito esiti positivi. Credo che i tempi siano maturi per intervenire. Lo sforzo che dobbiamo chiedere ai parlamentari europei è quello di agevolare una legislazione comunitaria il più uniforme possibile, nel rispetto dei singoli ordinamenti, anche se il principio di sovranità, quando viene fatto un regolamento europeo, viene compresso. Lo stesso avviene da parte delle Corti sovranazionali. Oggi, rispetto a venti anni fa, quando si cominciava a parlare di diritto civile europeo, i tempi sono cambiati. Credo che il CCBE avrà la sensibilità per attivarsi in tal senso.

In questo contesto di cambiamenti o cambiamenti auspicati occorre fare i conti con la presenza sempre maggiore dell’Intelligenza artificiale. Cosa ne pensa?

Come ho ribadito in occasione del G7 delle avvocature, svoltosi a Roma a metà aprile, l'Intelligenza artificiale darà grandi benefici al genere umano, aumenterà sicuramente la qualità della vita di tutti noi. Nei campi tecnici e scientifici, e più in generale nel sapere, l’IA aprirà delle prospettive immense e nuove, che, forse, oggi non sono ancora del tutto immaginabili. Nel campo dei diritti, occorre prudenza. I diritti fanno parte del patrimonio di ogni cittadino. Non può essere una macchina, per quanto intelligente, per quanto sofisticata, per quanto evoluta, a stabilire se ad un cittadino si possa attribuire o meno un diritto. Parliamo appunto di una forma di intelligenza artificiale, che replica il precedente. Sotto certi versi questa forma di intelligenza potrebbe rivelarsi la tomba del diritto. Oltre a questo, occorre fare un’altra riflessione.

A cosa si riferisce?

Esiste la giurisprudenza con interpretazione analogica, con interpretazione estensiva. Esistono il diritto vivente e la giurisprudenza creativa. Si tratta di un patrimonio sul quale si basa il nostro lavoro, che consiste nel portare al giudice una serie di conoscenze tali da tracciare la strada per arrivare alla soluzione di un caso. Quando interviene una macchina che produce la fotocopia del caso precedente, a cosa servirà il diritto vivente? L’Italia ha fatto grandissimi passi in avanti proprio grazie al diritto vivente, grazie all’esperienza creativa in ambito giurisprudenziale. Pensiamo alla materia del danno biologico che non esisteva. Gli avvocati difendono i diritti delle persone e con essi le aspettative, i bisogni e, perché no, i sogni.

Non possiamo dire che dentro un computer c'è la risposta ad ogni domanda di giustizia. In materia di IA c’è stato pure il recente intervento da palazzo Chigi. Nel disegno di legge deliberato dal governo l'articolo 14 prevede che l’Intelligenza artificiale possa essere utilizzata soltanto per organizzare e semplificare l'attività giudiziaria. Spetta al giudice scrivere le sentenze, che devono essere frutto del suo intelletto. Si tratta di un tema rilevante che apre sfide altrettanto rilevanti.

La professione forense, ma, soprattutto, la formazione dei futuri giuristi andrebbe adeguata per stare al passo con i tempi?

Oggi la carriera universitaria, ma anche l’attività di formazione dei tirocinanti è modellata su una replica dell’attuale cultura giuridica dei professionisti. Credo che occorra rimodellare la formazione universitaria, pensando a materie nuove. È assurdo che non ci sia nella nostra formazione la conoscenza delle lingue straniere. I corsi di laurea in giurisprudenza sono quasi identici a quelli che io e i miei coetanei abbiamo sostenuto quarant’anni fa. Occorre formare i giuristi pensando alla società del futuro. Su questo punto il Consiglio nazionale forense è molto attento, dato che lavoriamo sull'accesso alla professione e sulla formazione. Non si può più formare un giovane ancorati ad un modello ormai superato. Non ha senso. Occorre che ci siano delle discipline che prevedano lo scritto all'università e lo studio delle lingue. L'informatica giuridica non può limitarsi a fornire qualche nozione, a maggior ragione in questo momento in cui l’Intelligenza artificiale sta entrando nelle nostre vite e nel nostro lavoro. Ma badiamo bene, gli atti dobbiamo continuare a scriverli noi, così come i magistrati devono continuare a scrivere le sentenze e gli altri provvedimenti.

Il Manifesto del CCBE sottolinea l’importanza della difesa dello Stato di diritto. Un tema che sta molto a cuore al Cnf...

Proprio così. Il Consiglio nazionale forense è presente in tutti gli organismi internazionali per la verifica del rispetto dei diritti umani. Inviamo alcuni osservatori in giro per l'Europa e non solo per verificare che i colleghi avvocati non vedano compresse o negate le loro prerogative di difensori. I nostri osservatori verificano che siano rispettate le norme internazionali. Quello dei diritti umani è un tema sempre più importante, considerato che il mondo sta cambiando verso una direzione che comprime i diritti fondamentali della persona e noi avvocati non possiamo tollerare una situazione del genere.