Per la procuratrice afgana Shafiqa Saeise sono giorni di riflessione e di tristezza. La giovane magistrata si trova in Italia da nemmeno due anni. Da quando, con il ritorno dei talebani, l’Afghanistan è sprofondato nuovamente nell’intolleranza e nell’oscurantismo. «La comunità internazionale – dice al Dubbio Shafiqa Saeise – non è riuscita a contenere i talebani nel quadro del diritto internazionale. La conseguenza è stata un'orrenda miseria per il popolo afghano».

Procuratrice Saeise, l'Afghanistan è di nuovo sottoposto alla morsa asfissiante dei talebani. Il futuro del suo paese è incerto e indecifrabile?

Negli ultimi due decenni, la società afghana si è notevolmente ripresa con un ammodernamento e la trasparenza dei metodi, dopo l’imposizione di modelli estremamente rigidi. Abbiamo raggiunto grandi risultati con l’avvento della democrazia, con la nascita di diverse testate giornalistiche indipendenti, con l'accesso all'istruzione e con il ripristino dei diritti in favore delle donne. I talebani, riprendendo il controllo politico e delle istituzioni, ci hanno fatto ripiombare nel passato più triste. Gli attivisti per i diritti civili vengono uccisi o finiscono in prigione. Assistiamo ad una politica di apartheid di genere, volta al completo annientamento delle donne. Si pensi alla negazione del diritto all'istruzione o del lavoro per le donne. Nonostante queste miserie, la popolazione non ha perso la speranza e lotta per i propri diritti e per il proprio futuro.

Con il ritorno dei talebani sono state colpite soprattutto le donne, che ricoprivano importanti ruoli nella società?

Con il loro ritorno al potere i talebani hanno ripreso una campagna incessante per mettere a tacere le donne impegnate soprattutto nella difesa dei diritti umani, in particolare magistrate e avvocate che hanno subito minacce di morte, torture e violenze di ogni genere. L'autorità de facto è costituita dall'etnia pashtun alla quale appartengono i talebani, mentre altre etnie subiscono una grave discriminazione etnica, uccisioni e spostamenti forzati. I talebani disfano sistematicamente le conquiste ottenute dalle donne in anni di sacrifici.

Le donne non possono più andare a scuola e studiare. È un processo incontrovertibile?

Il diritto delle donne all'istruzione e al lavoro è stato ormai soppresso in tutto l'Afghanistan. Ma, nonostante questa situazione, le donne e le ragazze afghane cercano di far sentire la loro voce. Non mollano. Lo stesso, per esempio, accade in Iran. Inutile dire che il livello di libertà, diritti umani, dignità e opportunità che hanno le donne iraniane è centinaia di volte migliore rispetto a quanto avviene in Afghanistan. Emerge però un’altra differenza. Il regime iraniano è stato pesantemente sanzionato, mentre ai talebani hanno ottenuto quasi 40 milioni di dollari, utilizzati anche per schiacciare le donne afghane. In questo contesto immaginare un cambiamento per il mio paese è difficile.

Adesso che ha lasciato l’Afghanistan continua ad occuparsi di diritti umani?

Certo. Ho l'onore di lavorare a stretto contatto con persone impegnate nella difesa dei diritti umani, come l’avvocato Federico Cappelletti (del Foro di Venezia, ndr), impegnato in innumerevoli iniziative in Italia e all’estero. È importante sensibilizzare l’opinione pubblica sulla violazione dei diritti umani, che si consuma sistematicamente in Afghanistan. La comunità internazionale dovrebbe impegnarsi per creare le condizioni per un nuovo corso politico e sociale, nonostante il mio paese sia stato abbandonato al proprio destino. Un destino di repressione e di sangue.

Nella strage di Cutro sono morti tanti suoi connazionali. Cosa si sente di dire?

Di fronte a condizioni di vita difficili, fatte di privazioni e violazione dei diritti, corri anche il rischio di percorrere campi minati con tuo figlio sulle spalle. Cerchi di dargli una vita migliore, di sfamarlo e dissetarlo anche percorrendo la strada più difficile, affrontando il gelo o il caldo insopportabile. Una volta che si raggiungono le sponde turche del Mediterraneo, viene applicata una politica draconiana mirata a contrastare l'ingresso in Europa o qualsiasi tentativo di richiesta di asilo, dimenticando che chi lascia il proprio paese il più delle volte lo fa per fuggire dalla guerra e dalle dittature. Come si fa quindi ad impedire a chi è disperato di sognare un futuro migliore? Il naufragio dei giorni scorsi, a poca distanza dalle coste italiane, mi ha rattristato profondamente. Sorgono tante tante domande su come l'Ue abbia affrontato e voglia affrontare la questione dei migranti. Purtroppo, il Mediterraneo è diventato il più grande cimitero europeo.