Il costituzionalista Michele Ainis è scettico sulla reale possibilità di modifiche alla riforma costituzionale, spiega che la norma antiribaltone «è un pasticcio che andrebbe eliminato e basta» e che il ddl «crea un modello quasi parlamentare e quasi presidenziale che non nel carne né pesce».

Professor Ainis, perché non la convincono le proposte di modifica alla riforma costituzionale che arrivano anche dalla stessa maggioranza?

Quello che si registra è un disaccordo tra alcuni giuristi e anche tra le varie parti politiche sul fine della riforma, e più in generale sui mezzi. Se non piace l’elezione diretta del presidente del Consiglio, ad esempio, è chiaro che qualunque aggiustamento a questa impalcatura normativa non sarà mai sufficiente. Ma se si va più all’interno della riforma, credo che il vizio principale sia l’incoerenza. Cioè la contraddizione tra i mezzi spesi rispetto al fine che si vuole raggiungere.

Incoerenze tecniche o politiche?

Le incoerenze riguardano intanto il tradimento della volontà popolare. Che si realizza nel momento in cui si porta a termine una riforma per concedere ai cittadini il potere di scegliere drittamente il premier ma poi essi rimangono beffati in caso di crisi di governo e nomina di un premier che nessuno ha eletto. Un’ulteriore contraddizione deriva dal fatto che l’Italia è la patria del “quasismo”.

Si è creato un modello quasi parlamentare e quasi presidenziale che non nel carne né pesce. Il presidente eletto (prerogativa del sistema presidenziale) deve avere la fiducia delle camere (base del sistema parlamentare). Ne viene fuori una creatura ibrida di difficile comprensione.

Dei punti fermi la maggioranza li ha messi per l’elezione del premier, ad esempio garantendo un premio di maggioranza del 55%.

Questo è un ulteriore fattore di contraddizione, perché si vuole stabilizzare il sistema con tale premio i maggioranza ma in realtà lo si rende soltanto più instabile. Lo dico perché si consente a ciascun partito piccolo, necessario a raggiungere quel premio del 55%, un potere di ricatto verso il governo a causa della norma antiribaltone. Ogni piccola formazione politica diventa indispensabile per mantenere in sella il presidente eletto. È il contrario della volontà di finirla con i cosiddetti “inciuci”.

Crede che il governo riuscirà a ottenere il sostegno necessario di parte dell’opposizione per evitare il referendum?

Dal punto di vista politico la maggioranza, e la stessa presidente Meloni, sperano di trovare tale convergenza con una parte delle opposizioni per rendere non più necessario il referendum. Ma se fai una riforma tutta all’insegna del potere di decidere in mano al popolo, come fai ad auspicare che il popolo non voti sulla riforma stessa? Io penso che il passaggio referendario sia obbligato. Anche se ci fosse la maggioranza dei due terzi bisognerebbe assentarsi dall’Aula per rendere necessario il referendum.

Cosa manca a questa riforma per renderla accettabile, e in caso correggerla in futuro?

Di certo occorre risolvere la contraddizione sistemica derivante non da quel che la riforma dice ma da quel che non dice. La “cura di culturismo” verso il presidente eletto deve essere bilanciata da una cura muscolare anche per gli altri poteri. E questo non accade. Non c’è un rafforzamento del Parlamento, che diventa un votificio, non si rafforza il capo dello Stato e anzi se ne diminuisce il potere e non c’è un rafforzamento di altri organi come la Corte costituzionale. Per rendere coerente la riforma con il sistema costituzionale nel suo insieme bisognerebbe intervenire, nel momento in cui si rafforza il premier, rafforzando anche gli altri poteri. Basterebbe vedere agli Stati Uniti, dove il Congresso decide su tutte le spese e le nomine governative, mentre qui si diminuisce il peso del legislativo e anche del giudiziario, che in Italia è già debole.

Proprio in questi giorni si discute del peso del potere giudiziario: pensa sia davvero così debole e che quindi la politica abbia vinto la guerra dei trent’anni con la Magistratura?

Mi riferivo in particolare alla Corte costituzionale, dopodiché il potere giudiziario in Italia soffre di un’eccessiva sindacalizzazione e una deriva correntista che si sposa con un’inefficienza cronica, testimoniata dalla lunga durata dei processi, che ha molte ragioni. Ma che non derivano dal sistema costituzionale. Abbiamo scritto una riforma, ormai vent’anni fa, per mettere nella Carta la ragionevole durata dei processi e questi si sono allungati, invece che accorciarsi. Non credo che questo dipenda dalla Carta costituzionale ma per esempio dalle 50mila leggi che Parlamento e governo hanno via via depositato nell’ordinamento e che rendono ogni giudice arbitro “del bene e del male”.

Si parla molto della norma antiribaltone: pensa sia necessario eliminarla o con alcune modifiche può avere un senso?

È un pasticcio che andrebbe eliminato e basta. Biden non può essere sostituto da un altro in corso d’opera. Certo può capitare che muoia e in quel caso c’è il vicepresidente. Macron, in un sistema semipresidenziale, idem. Se radichiamo la legittimità sul voto popolare, questo non è surrogabile. Semmai, parlando di contrappesi, creerei una norma attraverso la quale così come i cittadini eleggono il presidente possano anche richiamarlo, il cosiddetto recall che esiste negli Stati Uniti a livello federale. Il voto avverrebbe tramite referendum.

Sulla legge elettorale crede che i partiti troveranno una convergenza, ad esempio su una soglia minima per ottenere il premio di maggioranza?

I premi di maggioranza sono un’altra delle invenzioni italiane. Ce le abbiamo solo noi. La via maestra è quella del ballottaggio. O tu ottieni la maggioranza assoluta dei voti o si fa un ballottaggio tra i due più votati. Se ci inventiamo premi, soglie massime e soglie minime non se ne esce più. Come si fa a stabilire una soglia minima sufficiente? La forzatura ci sarebbe in ogni caso perché quei voti non corrispondono a quelli realmente presi da un determinato partito. Sarebbe una distorsione del voto degli elettori. Bisognerebbe esercitare meno fantasia e guardare ai modelli che ci sono in circolo e che funzionano, nel caso della Francia da 60 e nel caso degli Usa da 240 anni.