Provarono a salvarli in tanti. Da Mussolini a Einstein. Ma non ci fu niente da fare. 1927, 23 agosto: l’establishment americano aveva deciso che quei due italiani dovevano morire sulla sedia elettrica. Siamo sicuri che Sacco e Vanzetti siano così lontani nel tempo?

Pensate un po’, per salvarli si mossero personalità molto, molto distanti tra loro: Benito Mussolini, Albert Einstein, Bertrand Russel. Cioè il capo del fascismo e due dei più grandi intellettuali di sinistra del novecento. E poi altre milioni di persone, che manifestarono, furiose, in tutto il mondo. A Boston, a New York, a Parigi, a Roma a Foggia.

Ma il governatore del Massachusetts, che si chiamava Alvan Fuller, ed era un repubblicano di sinistra, fu irremovibile, non concesse la grazia. Così come non concesse la grazia il presidente degli Stati Uniti, repubblicano anche lui, Calvine Coolidge.

La mattina del 23 agosto del 1927, giusto novant’anni fa, Nicola Sacco, operaio pugliese, e Bartolomeo Vanzetti, pescivendolo piemontese, furono accompagnati nella camera della morte della prigione di Charlestown, vicino Boston, legati alla sedia elettrica e uccisi. Erano stati condannati a morte quattro mesi prima da una corte del Massachusetts. Nicola aveva 37 anni, fu ucciso per primo. Barth ne aveva 39, fu ucciso sette minuti dopo la morte del suo amico. Erano anarchici, ma soprattutto erano italiani: immigrati italiani. Erano arrivati in America da poco meno di vent’anni. Nicola parlava bene l’inglese. Bartolomeo appena appena. Li accusavano di una rapina e di un duplice omicidio avvenuti a Boston, in una fabbrica di scarpe, sette anni prima. Ma loro erano innocenti: assolutamente innocenti. Al processo non fu portata una mezza prova bucata della loro colpevolezza. E fu scartata la testimonianza- confessione di un gangster americano, un certo Celestino Madeiros, il quale aveva ammesso di essere sta- to lui, insieme a due complici, a fare quella rapina sanguinosa. E aveva detto che lui, in tutta la sua vita, Sacco e Vanzetti non li aveva mai visti.

Ci vollero 50 anni perché lo Stato del Massachusetts riconoscesse l’errore. Successe nell’agosto del 1977, quando il governatore Mike Dukakis, futuro candidato alla presidenza ( sconfitto da Bush padre) firmò la riabilitazione, e diede il via alla costruzione di un museo, e alla realizzazione di una scultura. Dukakis era un tipo che non amava affatto la giustizia sommaria. Era un intellettuale liberal. Tra i tanti candidati alla Presidenza degli Stati uniti, negli ultimi due secoli e mezzo, forse è stato l’unico che si pronunciò a voce altra contro la pena di morte. E pagò caro. In uno degli incontri ufficiali con Bush, in Tv, al quale partecipavano anche i giornalisti, un giornalista gli chiese: «Se un bandito uccide tua moglie, tu sei favorevole o no alla pena di morte per quel bandito?». Dukakis scosse la testa. «No», disse. In pochi minuti, nei sondaggi, Dukakis, che era in testa, perse 10 punti e non li recuperò mai più: la corsa alla casa Bianca si fermò li, il voto di novembre fu una formalità.

La storia di Sacco e Vanzetti negli anni settanta fu raccontata in Italia in un film molto commovente e vibrante di Giuliano Montaldo. I due anarchici erano interpretati da Gian Maria Volontè e da Riccardo Cucciolla. La colonna sonora l’aveva scritta Ennio Morricone: erano delle canzoni e le cantò Johan Baetz. Ebbe un grande successo. Andò nelle sale poco più di un anno dopo la strage di piazza Fontana e la morte di Pino Pinelli ( anarchico ingiustamente sospettato per la strage) e mentre Pietro Valpreda, anche lui anarchico e anche lui ingiustamente sospettato, era ancora in carcere.

Il processo a Nicola e Barth fu un inno al razzismo e al giustizialismo dell’epoca. Il razzismo e il giustizialismo, di solito, vanno a braccetto. Non c’era sostanza giuridica, in quel processo, ma c’era molta, molta politica. La politica subiva un vento di intolleranza, e di fastidio per l’ondata di migranti italiani, che avevano invaso ( come si dice adesso) il New England. Una parte della popolazione, soprattutto nei settori più reazionari, non li sopportava, voleva qualcosa di esemplare. E come spesso succede in questi casi, la politica lascia alla magistratura il compito di agire e di compiere atti esemplari. Adopera i giudici come uomini di mano.

Al processo si usarono continuamente termini, un testimone riferì che era certo della colpevolezza di Sacco, perché lo aveva visto da dietro. Da dietro? Si, disse lui, ma non c’è dubbio che camminasse con una andatura da straniero. Anzi da italiano. Fu preso in parola.

Naturalmente trnare a parlare di Sacco e Vanzetti, della loro storia atroce, serve a ricordarci quando ignobile, ancora oggi, sia la pena di morte. E a sollevare degli interrogativi seri su questo atroce punto debole della democrazia americana. Però a me viene in mente anche qualche altra suggestione. Mentre scrivo del sistemagiustizia che rinuncia allo Stato di diritto e si mette a servizio di una campagna politica contro gli immigrati, non riseco a non pensare, un po’, a certi toni, a certe ventate reazionarie di oggi. La giuria di Boston calcolò che la vita di quei due pezzenti italiani valeva molto meno di una campagna politica. Oggi magari non sarà più così. Però. Però... Siamo sicuri che siano così lontani, nel tempo Nicola e Barth?