Cellule dormienti, attacco terroristico, scambio di ostaggi, rappresaglia, operazione antiterrorismo. Sono espressioni che non sentivamo da diverso tempo, diventate di nuovo attuali con gli attacchi del 7 ottobre, già ribattezzato come l'«11 settembre» di Israele. Il primo ministro, Benjamin Netanyahu, ha subito parlato di guerra a proposito del conflitto armato tra Israele e il gruppo armato non statale che fa capo ad Hamas.

L’inquadramento delle parti e la loro collocazione territoriale sono elementi da sempre studiati da David Kretzmer, uno dei più autorevoli costituzionalisti israeliani, professore emerito della “Hebrew University” di Gerusalemme. In tema di collocazione territoriale, Gaza, essendo soggetta ad occupazione bellica, per quanto atipica, è sottoposta alle norme applicabili ai conflitti armati internazionali.

Gli attacchi ai civili da parte dei miliziani di Hamas costituiscono crimini di guerra, così come lo sarebbero le violazioni gravi commesse dall’esercito israeliano nella sua reazione armata. Il professor Kretzmer è autore con Yael Ronen del libro “The occupation of justice”, pubblicato in più edizioni, nel quale vengono analizzati gli orientamenti della Corte Suprema d’Israele in merito alla giurisdizione per esaminare le istanze dei residenti dei territori occupati.

Professor Kretzmer, è questo il momento più triste della storia di Israele?

Non posso dire che sia il più triste, dato che abbiamo affrontato altri momenti molto delicati. Pensiamo a quelli vissuti durante la guerra del 1948 e a quelli successivi all’attacco di Egitto e Siria, esattamente cinquant’anni anni fa. Ma posso dire che è uno dei più tristi. Non si è mai verificata una situazione in cui così tanti civili sono stati uccisi e presi in ostaggio.

Cosa si può fare per evitare che la situazione peggiori e diventi irreversibile?

Non ho una risposta facile a questa domanda. Non penso che i massicci attacchi a Gaza risolveranno il problema. Anzi, causeranno solo più morti e sofferenze tra i civili non coinvolti. Un governo razionale non dovrebbe agire spinto da un desiderio di vendetta. La questione principale da affrontare subito deve essere la restituzione degli ostaggi, civili e combattenti, donne, bambini e anziani. Il governo prima o poi dovrà parlare e stringere un accordo con Hamas per il rilascio dei prigionieri palestinesi in cambio dei nostri cittadini tenuti in ostaggio.

Qualcuno ha parlato di «11 settembre d’Israele». Il paragone è esagerato?

Un paragone potrebbe essere fatto, ma non penso che sia la stessa cosa. Dopotutto siamo coinvolti in un conflitto a lungo termine con i palestinesi. Hamas è di fatto il governo di Gaza e ci sono stati molti scontri con Israele. Finora Hamas ha lanciato razzi e missili. Questa volta ha sorpreso l’esercito israeliano attraversando con un gran numero di uomini il confine. Non so come finiranno questi combattimenti. Comunque, a prescindere dall’esito, dovremo ancora affrontare il conflitto vero e proprio.

Quanto sta accadendo deriva anche dalla crisi politica che Israele sta attraversando?

C'è una connessione chiara. Abbiamo un primo ministro che ha diviso il Paese e da quando ha assunto il potere si è preoccupato solo di garantire il proprio potere e non di affrontare i problemi scottanti del Paese. Questo governo ha perseguito una politica aggressiva in Cisgiordania e ha trascurato le gravi situazioni connesse alla sicurezza dei nostri confini. Parte delle divisioni militari, che avrebbero dovuto proteggere il confine con Gaza, sono state trasferite in Cisgiordania per sorvegliare gli insediamenti presenti lì, compresi gli insediamenti stabiliti senza l’approvazione del governo. Netanyahu ha tentato di licenziare il suo ministro della Difesa, il quale ha a sua volta avvertito che le riforme sulla giustizia, portate avanti dal governo, stavano indebolendo l’intero sistema della difesa del Paese. Il governo, anziché dare segnali chiari, è stato fermo e non ha reagito agli attacchi alla leadership militare. Inoltre, il primo ministro non ha mostrato attenzione prima che la Knesset adottasse una legislazione che andava nella direzione di abolire lo “standard irragionevole” per il controllo giurisdizionale delle decisioni dello stesso primo ministro e degli altri componenti del governo.

Lei ha insegnato in una delle più prestigiose università d’Israele. Quale contributo può dare la comunità accademica in questo momento drammatico per il suo Paese?

Il mondo accademico può e deve sostenere gli studenti e tutti coloro che lavorano nelle nostre università. Tanti appartenenti al mondo accademico sono stati colpiti dai gravi fatti verificatisi sabato scorso. Ci sono membri della comunità accademica che sono stati uccisi o che hanno perso i parenti, che sono stati feriti o che sono stati presi in ostaggio. Avranno bisogno di supporto.

La crisi in atto bloccherà le riforme, volute dal primo ministro Netanyahu, che hanno provocato numerose proteste e spaccato il Paese?

Probabilmente. Non penso che il primo ministro avrà il potere e il sostegno per portare avanti le riforme programmate. Ma resta da vedere come reagiranno i membri più radicali del suo governo. La principale riforma in cantiere al momento riguarda la legislazione, che concede l'esenzione dal servizio militare ai membri della comunità ultraortodossa. Non credo però che riusciranno a farla passare. Non è neanche escluso che assisteremo alla fine politica di Netanyahu. In passato i primi ministri che hanno fallito in guerra sono stati costretti a dimettersi. Alcuni commentatori, qui in Israele, sono certi che anche Netanyahu potrebbe andare incontro a questo destino.