«Renzi? È all’epilogo. Mattarella? Si sta comportando molto meglio di Napolitano. E D’Alema sta dimostrando di avere molta più sintonia con il Paese del Pd». Parla con Il Dubbio il senatore di Forza Italia Augusto Minzolini, ex direttore del Tg1, giornalista e analista politico, inventore di un genere («Scrivere quello che davvero avviene nella stanza dei bottoni») finito sulla Treccani. Ma Minzolini è anche al centro di una caso politico-giudiziario, che lunedì incomincerà l’iter a Palazzo Madama, per il quale rischia la decadenza da senatore. Una vicenda “persecutoria”, denuncia.Senatore Minzolini, è davvero sicuro che Matteo Renzi sia all’epilogo?La scommessa di Renzi era il Partito della Nazione che avrebbe dovuto sfondare nell’elettorato di centro, moderato. Ma le ultime elezioni dimostrano che questa operazione politica non porta a nulla.Poi c’è l’avvitamento sul referendum costituzionale.Sì, lui lo aveva portato avanti come una marcia trionfale, aveva cercato di dare una impostazione plebiscitaria per regolare di fatto tutti i giochi e mettersi al centro dello scenario politico italiano. E anche questa operazione non è riuscita. E io penso che molto probabilmente, se non quasi sicuramente, Renzi perderà.Non a caso il premier ha dovuto cambiare toni e linea. E’ credibile?Lui ha messo in moto un meccanismo esattamente uguale a quello dell’apprendista stregone. Adesso tutte le operazioni fatte da lui e dai sui fiancheggiatori, compreso il tentativo degli spacchettamenti o del rinvio, rischiano di alienargli ancora di più simpatie e consensi.Ha creato qualcosa che ora rischia di non controllare più?Ha fatto una riforma poco convincente che combinata con l’Italicum diventa addirittura pericolosa e contemporaneamente ha cercato di farla passare mettendo in ballo il suo nome. Solo che è cambiata completamente l’aria e noi parliamo ora di un presidente del Consiglio che ha un gradimento del 28 per cento, quando Enrico Letta, cacciato da Renzi, stava al 25. E il consenso del Pd è addirittura superiore. Tutto ciò mi porta a pensare che siamo all’epilogo della parabola renziana.Ora però al solito l’accuseranno di parlare da militante berlusconiano.Ma quale militante? Mi sembra di aver già ampiamente dimostrato più volte di avere una posizione assolutamente autonoma, ragionando con la mia testa.C’è da dire che un paio di anni fa lei litigò anche con il Cav.Non è che abbia litigato, ho espresso un giudizio diverso sulla riforma di Renzi. Poi anche il gruppo dirigente di Fi cambiò idea. Ho sempre giudicato un errore il governo Monti un enorme errore politico e i fatti mi hanno dato ragione. Basti dire il consenso grillino prima di quel governo era solo all’8 per cento. Penso di essere tra i pochi ad avere detto che il governo Monti era un errore e di averlo pagato anche di persona con la direzione del Tg1.Ce la fa il centrodestra a tornare competitivo?Stiamo parlando di cose che non esistono perché finché non ci sarà il referendum, non sapremo quale sarà il quadro istituzionale e le regole elettorali che regoleranno la prossima politica. L’unica cosa che deve maturarsi è la vicenda referendaria proprio per questo la consultazione va fatta al più presto. Perché più si allungano i tempi più aumenta la distanza tra Palazzo e opinione pubblica.Il Capo dello Stato Sergio Mattarella come si sta comportando?E’ per me una grande sorpresa positiva, perché è esattamente l’opposto del suo predecessore. Tanto era interventista Napolitano, basta leggere il libro di Alan Friedman (“Ammazziamo il Gattopardo” Mondadori ndr), tanto è invece legato a una visione del ruolo del Presidente della Repubblica di stampo einaudiano Mattarella. Come giudica Massimo D’Alema impegnato per un “no riformatore”? E’ davvero così isolato come lo vorrebbero far passare anche da dentro il suo stesso Pd?Incomincio a pensare che D’Alema abbia un feeling e una capacità di captare gli umori dell’opinione pubblica italiana superiore a quella del Pd o del suo gruppo dirigente. Forse vivo sulla luna io e gli altri no.Veniamo alla sua vicenda, che è un caso politico, per la quale rischia la decadenza da senatore, in base alla legge Severino. E’così?Penso di sì, viste le logiche prevalenti secondo le quali questo viene quasi considerato un automatismo. Ma io lo ho già detto e lo ridico con molta franchezza: in ogni caso ho intenzione di dimettermi. Però non sollevo il Senato dalla responsabilità di assumere una posizione su una vicenda giudiziaria che, secondo me, è stata condizionata da un atteggiamento persecutorio nei miei confronti, con una valenza politica non indifferente.Ci può riassumere la kafkiana vicenda che la riguarda?In Rai mi proposero una retribuzione del 6 per cento in meno rispetto a quella del mio predecessore. Accetto, ma dico che, avendo un rapporto di collaborazione con il settimanale Panorama, avrei preferito mantenerlo. Ma l’allora presidente Rai Garimberti disse che non era possibile sia dal punto contrattuale sia etico. Chiesi quindi di riconoscermi almeno quello che avevo da inviato e editorialista della Stampa: una carta di credito per spese riguardanti il mio lavoro.Poi, che accadde?Mi venne concessa la carta di credito che fu data anche agli altri direttori. Per 18 mesi mandai le ricevute. E non eclatanti, non c’erano cravatte, alberghi e menate varie. Si trattava di pranzi di due o tre persone. Nessuno mi disse nulla. Ma nel frattempo aumentava la tensione nei miei confronti per le mie posizioni politiche controcorrente. L’allora direttore generale Masi prima mi difende poi si rimangia tutto e mi dice che non era un benefit compensativo (per la mancata collaborazione con Panorama ) ma una facility. E mi chiedono di mettere i nomi insieme con le ricevute. A questo punto ridò esattamente tutti i soldi, 65.000 euro, riservandomi di rivolgermi al giudice. E richiesi di collaborare con Panorama, cioè quello che contrattualmentet e eticamente non era stato possibile prima, diventò possibile. Mi sembrò tutto abbastanza assurdo, ma pensai anche che la cosa si chiudesse lì.Com’è che finisce in una vicenda penale?Nel frattempo Antonio Di Pietro aveva fatto un esposto. Nel processo, viene ascoltato anche Clemente Mimun ex direttore del Tg1 il quale dichiarò che era prassi che il direttore del Tg1 non faceva i nomi delle persone con le quali andava a pranzo. Il Pm chiese per me 2 anni, ma venni assolto in primo grado.Poi dall’assoluzione alla condanna definitiva che accade?Innanzitutto che il giudice del lavoro mi dà ragione e obbliga la Rai a ridarmi i soldi. Ma nel frattempo io divento senatore e pongo la questione di un possibile impeachment di Napolitano per la vicenda del 2011, mi esprimo contro le riforme con Renzi, denuncio, infine, il presidente del Senato Pietro Grasso alla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo per la gestione del dibattito sulle riforme costituzionali, strozzandolo con il “canguro”. Arriviamo all’appello, il tribunale capovolge di 180 gradi la sentenza. E invece di darmi due anni come aveva chiesto il Pm in primo e secondo grado mi danno mi danno 2 anni e 6 mesi e con quei 6 mesi proprio per far scattare la legge Severino Quindi viene fatta una sentenza squisitamente politica.Ma arriva poi la Cassazione. E lì che accade?Due giorni prima viene cambiato il presidente del Tribunale che mi doveva giudicare. Era Milo, che aveva assolto Berlusconi sulla vicenda Rubi, e ne arriva un altro di Magistratura Democratica. Mi viene confermata la condanna. Entrato ormai in un incubo, vado a vedere chi fosse nel Tribunale della Corte d’Appello che aveva cambiato la mia sentenza di assoluzione. E scopro che c’era un giudice che per vent’anni aveva fatto politica: da sindaco di Andria a parlamentare a sottosegretario del governo Prodi, al ministero dell’ Interno con Napolitano, esattamente l’ex Presidente di cui avevo teorizzato l’impeachment, a sottosegretario anche con D’Alema. Poi fu mandato per nomina politica a fare il consigliere giuridico dell’ambasciata italiana a Washington, rientrando quindi in magistratura nel 2013 appena un anno prima della mia sentenza. Si tratta di Nicola Sinisi. Ma che uno dalla politica possa rientrare così in magistratura a giudicare mi lascia quanto meno perplesso. Forse una cosa del genere avviene, chessò, in Turchia, in Egitto?Lei poi ha rincontrato lo stesso Di Pietro. Che le disse?Che per lui è un assurdo che un giudice che abbia fatto politica torni a fare il magistrato, che non a caso lui non lo ha fatto. E ora fa l’avvocato, ma neppure a Milano. In un momento poi di sincerità mi disse: tu hai pagato per la politica.