Onorevole Marattin, il governo ha presentato un emendamento che di fatto limita i poteri della Corte dei Conti rispetto al Pnrr, dopo le osservazioni su ritardi e inadempimenti: come valuta la scelta?

Una inutile e ingiustificata rappresaglia contro i rilievi fatti nei giorni scorsi dalla Corte, la maggior parte del tutto legittimi, alcuni forse meno. Il controllo concomitante non è un intralcio burocratico, ma ha anzi lo scopo di accelerare la spesa e il raggiungimento degli obiettivi.

Un giurista come Giovanni Maria Flick ha definito la mossa «poco elegante». Pensa che oltre ai modi ci sia un problema di rispetto dei ruoli tra istituzioni?

In questo paese abbiamo bisogno di ridefinire – e adattare al nuovo secolo - il funzionamento di tutte le istituzioni, nessuna esclusa. Ma è evidente che questo governo vede con fastidio chiunque cerchi di riportare l’attenzione sulla realtà per come essa è, e non per come la si dipinge nella propaganda.

Il ministro Fitto continua a dire che non ci sono problemi ma la terza rata che doveva già essere arrivata ancora latita. Come si esce da questo ingorgo?

Non mi preoccupa la terza rata, ma la quarta ( giugno) e la quinta ( dicembre), che si riferiscono a obiettivi che il governo stesso ammette non saranno mai raggiunti. Per allora ci sarà anche il giudizio di Moody’s, che potrebbe declassare il nostro debito al rango di “speculative”, con conseguenze importanti. E saremo in presenza di una legge di bilancio che parte già da una ventina di miliardi da trovare semplicemente per mantenere lo status- quo, e in un anno in cui tornano le regole fiscali europee. Insomma, un brutto ingorgo. Che però deve essere affrontare con competenza e coraggio. Noi una prima proposta l’abbiamo fatta sei mesi a mezzo governo, inclusa la premier Meloni, in un incontro a Palazzo Chigi: spostiamo subito le risorse sul ripristino e potenziamento di Industria 4.0, l’unico strumento di politica industriale che abbia funzionato in 30 anni. Invece il governo l’altro ieri ha approvato un Fondo Sovrano, un qualcosa a metà tra l’Urss e il Ministero delle partecipazioni statali.

Meloni ha aperto alla riscrittura di una parte del piano, o almeno a una sua rivalutazione. Crede che questo possa favorire il dialogo con l’Ue o al contrario allungherebbe dei tempi già stretti?

Un aggiustamento del Pnrr è inevitabile, e lo hanno già fatto alcuni paesi. Noi, come dicevo, abbiamo fatto da tempo alcune proposte. Ma il punto è: al governo ci stanno loro, e avevano pure detto a tutta l’Italia di essere pronti. Quindi la domanda è semplice: cosa aspettano a fare proposte su come modificare il piano? Sembra che siano rimasti all’opposizione, denunciano il problema. Ma fare politica, soprattutto se sei al governo, significa non limitarsi a evidenziare il problema, ma trovare soluzioni.

Come influisce il comportamento ondivago di Schlein, ad esempio sull’aumento delle spese militari dell’Ue, rispetto alle possibili alleanze dopo le prossime Europee?

Io non parto mai dalle alleanze, questo non è risiko. Io parto dalla costruzione di un’offerta politica dai contorni chiaramente riformisti e liberal- democratici, che abbia chiaro come vede la società italiana nei prossimi anni e quali politiche intende portare avanti per realizzare i valori di riferimento ( dalla crescita alla meritocrazia, dal garantismo alle libertà economiche e civili). La Schlein è diventata segretario sulla base di una piattaforma di sinistra radicale e massimalista, con la quale noi non abbiamo nulla a che vedere. Così come non abbiamo a che vedere col populismo sovranista di Salvini e Meloni. Usiamo questi anni per ristrutturare il quadro politico partendo dai valori, e non dalle convenienze di breve termine. Quando tra quattro anni si voterà per le politiche, vedremo sia che evoluzione avrà avuto il sistema elettorale- istituzionale, che quello dei partiti. Il nostro è un progetto di lungo termine, che non deve essere soffocato dalle ansie di come va questa o quella elezione.