L’autonomia differenziata continua ad alimentare il dibattito politico e a suscitare preoccupazione soprattutto nel Mezzogiorno. Le opposizioni insistono sui rischi per l’unità del Paese, ma allarmi sono stati lanciati da soggetti anche non politici nel corso delle ultime settimane. Se la Fondazione Gimbe ha acceso i riflettori sul possibile impatto in tema di sanità, la Conferenza episcopale calabrese ha richiamato i principi di solidarietà e sussidiarietà invitando i fedeli a una mobilitazione democratica. Abbiamo fatto il punto con Giovanni Guzzetta, professore di Diritto Pubblico dell’Università di Tor Vergata, recentemente audito dalla commissione Affari Costituzionali del Senato su richiesta dei partiti sia di maggioranza che di opposizione.

Professore, che clima ha trovato in Commissione e che idea si è fatto sull’iter dell’autonomia differenziata?

Guardi, l’audizione è l’occasione per offrire al decisore politico opinioni tecniche da parte di soggetti esperti della materia. Tengo a sottolineare che si tratta di interventi che non hanno nessun carattere rappresentativo dell’opinione generale dei tecnici, in quanto come ha ricordato lo stesso presidente Pagano, le audizioni vengono decise sulla base delle richieste dei partiti. E proprio in questa circostanza il presidente ha spiegato che la maggior parte degli auditi è stata convocata su richiesta dell’opposizione, come è comprensibile che avvenga in un caso del genere. Pertanto, come ha ricordato il Presidente, le audizioni non possono essere considerate un termometro sull’indice di gradimento della legge.

La sua posizione sulla riforma Calderoli qual è?

La mia posizione, a prescindere dal merito politico, è che il ddl dal punto di vista tecnico non presenta profili di incostituzionalità. Non esiste alcuna alterazione della distribuzione delle risorse economiche tra le regioni che accedono all’autonomia e quelle che non accedono. Anzi sono previste una serie di norme per il sostegno delle regioni più svantaggiate sia che decidano di aderire o meno.

Nessun rischio per l’unità del Paese?

Anche da questo punto di vista nessuna norma minaccia l’unità della Repubblica, che è rafforzata dalla preventiva individuazione dei Lep come elemento condizionante per assicurare, su tutto il territorio nazionale, l’uguaglianza delle prestazioni e dei servizi. Anzi, paradossalmente, la legge ha l’effetto di rafforzare l’unità della Repubblica, visto che fino ad oggi non tutti i Lep sono stati individuati. Altro elemento da mettere in evidenza è che il procedimento per raggiungere l’autonomia prevede un coinvolgimento del Parlamento in più occasioni e il fatto che sia il governo a negoziare le varie intese non sorprende, coerentemente con il fatto che è il governo a vigilare ed esercitare il potere sostitutivo ai sensi dell’art. 120 della Costituzione.

Eppure le preoccupazioni sulle possibili disparità tra le regioni più ricche e quelle più fragili continuano a susseguirsi…

Credo si tratti di preoccupazioni per la maggior parte infondate. Sull’uniformità delle prestazioni è previsto anche un monitoraggio continuo con il coinvolgimento della Corte dei Conti. Un controllo che oggi non esiste. È chiaro che la riforma implica una maggiore responsabilizzazione delle Regioni e forse, in qualche caso, può esserci preoccupazione perché sarà difficile aggirare la disciplina. Con i controlli e con prestazioni auspicabilmente migliorate speriamo diminuiscano i fenomeni di migrazione tra una regione un’altra alla ricerca della prestazione migliore, così come spesso avviene per esempio in sanità.

Proprio per la sanità, però, la fondazione Gimbe ha parlato di un possibile impatto devastante per i sistemi più deboli.

Le gravi disparità mi pare esistano a sistema vigente e non riesco a capire come la possibilità di innalzare il livello di efficienza delle prestazioni in tutte le regioni e il controllo dei livelli essenziali possa peggiorare la situazione invece di migliorarla. Da meridionale ho la sensazione che le critiche arrivino da chi non crede alla capacità delle regioni più svantaggiate di recuperare il terreno perso.

Da ultimo anche la Conferenza episcopale calabrese ha criticato il ddl Calderoli che spazzerebbe via il criterio di solidarietà.

Il testo è molto articolato e confesso di non averlo adeguatamente approfondito come certamente merita per la sua autorevolezza. Su due punti però mi sento di tranquillizzare i Vescovi calabresi. Nella versione emendata dal Senato non sussiste più il rischio paventato che le regioni ad autonomia differenziate trattengano le risorse eccedenti le funzioni attribuite, così come l’invarianza finanziaria temuta non riguarda in realtà i Lep, perché per essi è anzi previsto che nel caso di necessità di finanziamento e di disponibilità di risorse queste debbano essere garantite a tutte le regioni differenziate e non in misura paritaria. D’altronde gli stessi vescovi riconoscono la necessità di cambiare. Mantenendo la situazione così com’è le risorse sono destinate a ridursi, perché il debito pubblico è altissimo e i vincoli finanziari sono sempre più stringenti. Fin quando non si avrà una ripresa sostenuta del Pil a pagare dazio saranno le regioni più deboli, senza un cambio di paradigma che scommetta sulle loro capacità autopropulsive.

Pare di capire che senza il finanziamento dei Lep, però, la riforma rischi di restare soltanto sulla carta.

Come dicevo se le risorse ci sono i Lep potranno e dovranno essere finanziati. Se ciò fin qui non è stato fatto, o fatto in maniera incompleta, non è colpa di questa legge. Consideri poi che ci sono materie in cui non c’è esigenza di Lep e materie in cui sono previsti, come la sanità. L’autonomia può essere calibrata e non riguardare tutte le materie e comunque essere realizzata per materie o settori di materie, evitando situazioni di squilibrio. La parola finale spetta al Parlamento e il governo può, a sua volta, rifiutarsi di sottoscrivere intese su materie in cui non si arriverebbe ai risultati sperati. Insomma, ci sono i margini per calibrare una soluzione equilibrata. Credo che le maggiori critiche andrebbero fatte all’inerzia degli ultimi 20 anni durante i quali non si è data attuazione alla riforma del 2001 e concretezza ai livelli essenziali di prestazioni previsti fin dal principio come un obbligo per lo Stato.

Un pronostico sull’esito finale della riforma e sui possibili tempi di attuazione?

Non c’è niente di più difficile in Italia che fare pronostici sulle vicende politiche. Credo però che il processo sia destinato ad andare avanti anche per l’esistenza di vincoli europei sul federalismo fiscale che dovranno essere portati a regime nei prossimi anni all’interno della cornice del Pnrr. Sono moderatamente ottimista sul fatto che nel medio termine si arrivi a concludere il processo.