Il dipendente di un supermercato, a Napoli, in una disgraziata serata invernale, prima di lasciare il lavoro si è messo in tasca un sacchetto di caramelle. Valore: nove euro. Lo hanno beccato. Lo hanno licenziato. È rimasto per strada, senza un soldo.

Ha fatto ricorso al tribunale per chiedere la riassunzione, ma il tribunale, in primo grado e secondo, e ieri anche la Cassazione, gli hanno detto: «Sei un ladro, hai minato la fiducia della tua azienda, ben ti sta». E lui resta disoccupato.

Va bene, evidentemente - uno pensa – viviamo in un paese molto rigoroso, dove la legge è legge, non si sgarra, e la credibilità dello stato e delle istituzioni si basa sulla fermezza con la quale viene fatta rispettare la regola. Senza nessuna pietà, nessun eccesso di umanità. Se sei un giudice non sei colpevole Se però ti becco che rubi le caramelle...

Poi leggi la notizia che riportiamo qui sopra, nell’articolo di Giovanni Jacobazzi, e non ci capisci più niente. Dunque c’era un giudice che per scrivere una sentenza ci metteva sei anni e così l’imputato, se voleva far ricorso, doveva aspettare, aspettare, aspettare. Questo giudice è finito sotto procedimento disciplinare, giustamente, e il Procuratore della Cassazione, Giovanni Canzio, ha detto cose tremende su di lui e la sua ignavia. Però il Csm ieri ha stabilito che, vabbé, se uno la sentenza la vuole scrivere bene bene, con tutti i congiuntivi a posto, la punteggiatura e niente ripetizioni, beh ha bisogno di un po’ di tempo. E sei anni, in fondo, non sono così tanti, può succedere.

E così, nonostante le proteste di Canzio, il giudice è stato scagionato da ogni accusa, e potrà continuare a fare il magistrato e prendersela comoda.

Ma come può succedere una cosa del genere? Può succedere perché al Csm, molto spesso, vince il gioco delle correnti. Si intrecciano trattative e accordi, e negli accordi c’è anche, evidentemente, il salvataggio di qualcuno che è potente in questa o quella corrente. A quale prezzo?

Non è difficile calcolare il prezzo: la perdita di credibilità da parte della magistratura. Nel momento in cui la magistratura dà la prova provata ( non solo questa della quale vi stiamo parlando, troppe altre ne ha già fornite...) che i magistrati possono fare un po’ quello che vogliono, ma comunque non vengono sanzionati, e che invece con i non- magistrati si usa il pugno duro, capite che i cittadini non possono più fidarsi molto. E invece questa, purtroppo, è la norma.

Recentemente avete letto sui giornali che un paio di magistrati, in occasioni diverse, sono stati scagionati dall’accusa di avere favorito la violazione del segreto di ufficio. Noi abbiamo espresso soddisfazione, l’abbiamo considerata una buona notizia. Prosciolti perché non ci sono prove. Giustissimo. Però, ad essere pignoli, qualche dubbio su come sono andate le cose, può essere sollevato. Ad esempio: caso Consip, il Pm Woodcock, che era stato sospettato per la fuga di notizie, ha avuto l’archiviazione nel giro di circa due mesi. Perfetto. Evviva. Bisogna rendere atto alla Procura di Roma sia di essere stata una delle pochissime Procure che ha il coraggio di inquisire un magistrato, sia della rapidità con la quale, giustamente, ha svolto le indagini. Come mai, però, qualcun altro coinvolto nell’inchiesta Consip, per esempio il ministro Lotti, da un anno ormai è inquisito ed è lasciato lì a bagnomaria, sebbene, oltretutto, il testimone che, alla lontana, lo accusava, ora ha ritirato le accuse? Dice il vecchio detto: due pesi e due misure. Il ministro, in fondo è un cittadino comune. Il magistrato è un Dio intoccabile. Ecco: non è una bella cosa.