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NELLO ROSSI
Nello Rossi, esponente storico di Magistratura democratica, le toghe ripetono che la riforma della separazione delle carriere condurrà alla loro perdita di autonomia e indipendenza. Eppure il nuovo art. 104 ribadirà questo principio. Siete caduti nella fallacia del pendio scivoloso?
Lei pensa che, all’indomani della separazione delle carriere, cesseranno, come d’incanto, le veementi polemiche contro i pm da parte di esponenti della maggioranza di governo? Evidentemente no. Comincerà un secondo tempo della partita, nel quale si contesterà l’esistenza di un corpo indipendente ed autonomo di magistrati dell’accusa e se ne lamenterà l’irresponsabilità, chiedendo l’attribuzione ad un “organo di vertice” politico della determinazione della politica criminale e della direzione degli uffici del pm. Lo dice già oggi, a destra, un autorevole parresiasta, il senatore Marcello Pera, e lo negano solo i farisei della maggioranza, magari assumendo irrilevanti e patetici impegni personali. Infine ci attendono ancora i tempi supplementari delle leggi di attuazione della riforma dai quali, dato il clima politico e gli orientamenti della maggioranza, non c’è da aspettarsi nulla di utile, di mite e di ragionevole. Per i pm ma anche per i magistrati giudicanti.
Lei, in un approfondito articolo su Questione giustizia, critica il metodo del sorteggio per il Csm. Se un giudice ha la facoltà di decidere un ergastolo come può non essere all’altezza di Palazzo Bachelet?
Per svolgere al meglio una funzione istituzionale occorrono “vocazione” e “competenza”. Anche nel giudiziario vigono criteri di assegnazione automatica degli affari ma essi vengono applicati solo tra magistrati che hanno la stessa specializzazione ( cioè la stessa vocazione e la stessa competenza). Invece il sorteggio dei membri togati dei due Csm non garantisce né la vocazione al ruolo né le conoscenze e le attitudini necessarie per il delicato e complesso compito di consigliere superiore. In realtà il criterio dell’“uno vale l’altro” mira a far regredire la magistratura a corporazione indifferenziata, portatrice di elementari interessi materiali e professionali che possono essere amministrati da ciascun membro del gruppo. Detto questo, sulla minore forza e legittimazione dei Consigli superiori formati per sorteggio – metodo proposto per la prima volta da Giorgio Almirante nel 1971 – restano le molteplici considerazioni di segno negativo svolte sulle colonne di Questione Giustizia.
Lei si sente di assicurare e rassicurare che attualmente le correnti siano solo gruppi culturali interni alla magistratura e non centri di spartizione del potere?
Come in tutte le aggregazioni umane, idealità ed interessi coesistono e si intrecciano. In misura variabile a seconda dei gruppi. Ma la vulgata delle correnti come “mala pianta” da estirpare è volgare e ingannevole perché ignora, volutamente, la storia della magistratura e la positiva funzione svolta dai gruppi associativi per migliorare il governo autonomo e superare il corporativismo.
Un altro argomento usato dai detrattori è quello per cui il pm si rafforzerà eccessivamente e perderà la cultura delle garanzie che ha in comune col giudice. Però allo stesso tempo il giudice si rafforzerà secondo i riformisti.
Non si rafforzerà nessuno. Si indebolirà invece il ruolo dell’intera giurisdizione e la funzione della magistratura di potenziale argine alla prepotenza, alla volontà di comando ed alla pretesa di obbedienza della cattiva politica. È in gioco la sopravvivenza di una figura centrale dello Stato di diritto: il famoso “giudice a Berlino” invocato dal mugnaio contro l’arbitrio dell’imperatore, che merita cura e rispetto nell’interesse generale e non può essere continuamente aggredito, intimidito, ammonito a essere obbediente ai dettami dei potentati politici.
La premier Meloni ha ribadito che non si lascerà fermare da “giudici politicizzati”. Secondo lei vincerà questa sfida al referendum? I sondaggi danno in vantaggio il “sì” alla riforma. Si può ancora ribaltare questo risultato?
Vedo circolare un certo nervosismo in ambienti politici sino a ieri sicuri di stravincere il referendum confermativo, che non prevede alcun quorum dei votanti ed è perciò più aperto ed incerto dei referendum abrogativi, condannati al fallimento dall’alto livello di astensionismo. Se è vero che la giustizia funziona male e che i magistrati, agli occhi degli italiani, non sono esenti da colpe, i cittadini hanno molte maggiori ragioni di guardare con sospetto ad una riforma costituzionale che può ridurre il ruolo della giurisdizione a tutto vantaggio del comando politico e dello strapotere del governo.
A suo parere una magistratura troppo esposta mediaticamente, pronta a ribattere ad ogni dichiarazione della politica, non rischia di mostrarsi eccessivamente parziale agli occhi dei cittadini?
Sobrietà e self- restraint sono certamente virtù da praticare. Ma nel corso della pressoché certa campagna referendaria, nella quale si discuterà della Costituzione, a nessuno – e tanto meno ai magistrati – si potrà chiedere di rimanere assente o defilato. Il problema è se mai la qualità del confronto, il suo livello culturale ed il suo grado di civiltà. Occorrerebbe scongiurare il rischio che la campagna referendaria si risolva in uno scontro senza quartiere al termine del quale rimarrebbero solo macerie istituzionali. Ma la maggioranza di governo e la stampa di destra non sembrano preoccuparsene.
La magistratura in questi mesi si è mostrata contraria a tutte le riforme in tema di giustizia, persino alla giornata dedicata alle vittime di errori giudiziari. Questo atteggiamento costantemente oppositivo non gioca a vostro sfavore?
Non mi sembra affatto che la magistratura italiana sia stata contraria a tutte le riforme. Al contrario invoca da anni interventi riformatori sull’organizzazione e sulla geografia giudiziaria oltre che sulle norme processuali nel segno dell’efficienza e non del potere ( tratto tipico delle riforme della destra). Attenzione però a non fare confusione: nel contesto di violente e sistematiche aggressioni in cui oggi la giustizia è immersa, una giornata per le vittime degli errori giudiziari non sarebbe affatto una “riforma” né l’occasione per riflessioni serie e indispensabili sul tema spinoso dell’errore giudiziario ma l’ennesimo invito ad imbastire campagne di stampa scandalistiche e denigratorie.
Magistratura, avvocatura, accademia – anche con un articolo a firma Parodi, Petrelli, Gatta – sono compatte nel denunciare le condizioni disumane delle carceri e a chiedere soluzioni immediate. Paradossalmente, per una eterogenesi dei fini, questo non potrebbe andare a svantaggio delle toghe considerata la cultura carcerocentrica di molti cittadini?
Ben vengano tutte le iniziative unitarie sul carcere. Quando si fanno battaglie di umanità e di civiltà è inaccettabile fare calcoli basati su interessi di parte.
Che giudizio dà su questi mille e passa giorni di Nordio da ministro?
Difficile fare peggio del ministro sul piano istituzionale, politico e mediatico. Su quest’ultimo terreno si è curiosamente diviso tra melense dichiarazioni di attaccamento alla magistratura e stizzosi calci sferrati in continuazione negli stinchi ai magistrati, anche con iniziative disciplinari inique ed imbarazzanti. Sul piano politico istituzionale ha smentito la sua presunta ispirazione liberale e compromesso la sua precedente immagine sottoscrivendo una legislazione penale di pesante criminalizzazione della marginalità e del dissenso. E la sua riforma costituzionale sopravanza, per volontà di mortificazione della magistratura e della giurisdizione, la riforma dell’ordinamento giudiziario dell’ingegner Castelli.