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Ben schermata dietro il sabba dei contatti tra leader, delle informazioni confidenziali e tendenziose fatte filtrare sui media amici, dei calcoli - matematici per i seggi, assai più scivolosi sulla fedeltà nel voto segreto - per l’elezione dei presidenti delle Camere, sta la questione più importante che tanti faticano ad inquadrare. Ma è sicuro che il M5S regga o la trattativa lo sfalderà?
Questione grossomodo così riassumibile: i Cinquestelle sono in grado di reggere un rapporto di qualsiasi tipo e spessore con altri partiti e formazioni politiche oppure si tratta di una strada che, se imboccata, porta al cortocircuito tra calcoli di governo e appartenenze digitali, con annesso testacoda sulle maggioranze?
In molti hanno fatto a gara a far scomparire questo elemento cruciale dal tavolo. I sorrisi e i completi blu di Luigi Di Maio hanno colorato il dopo voto di toni via via più tenui e di tinte pastello, facendo assumere al confronto per allestire una maggioranza in grado di varare un governo le movenze di un minuetto ricolmo di inchini e leziosità.
Poi però, inesorabilmente, si arriva al dunque. I problemi nascosti riemergono; le tematiche volutamente offuscate, si riaffacciano. Torna l’effigie di Beppe Grillo più che mai incombente, con i suoi sarcasmi ( «Non capisco più cos’è vero e cos’è finto, se sono ancora il padre spirituale di un movimento oppure no» ); le sue melliflue ruvidezze ( «Sono come una prostituta in una città senza marciapiedi: non so dove appoggiarmi» ); gli insinuanti avvertimenti ( «L’epoca dei vaffa è finita ma quella degli inciuci non comincerà» ). E si ripropone l’interrogativo sulla consistenza del Dna di un aggregato «nè di destra nè di sinistra» ma che con destra e sinistra, nei Palazzi, deve colloquiare. Del caso: patteggiare.
Può un MoVimento che fa dell’identità la sua forza e della monoliticità la sua corazza esplorare vie alternative che, obbligatoriamente, scalfiscono fino a incidere in profondità l’anima di chi non vuole confondersi ma si vede costretto a mischiarsi? Su questo interrogativo che è un vero e proprio spartiacque, i retroscena e i racconti delle trattative che compaiono sui media scivolano via volteggiando, senza lasciare traccia. Mentre Di Maio insiste nell’atteggiamento che finora più lo ha contraddistinto: sorridere. Altresì spargendo miele sul sentiero che porta alle consultazioni col Quirinale: «Dei ministri tratteremo con il presidente della Repubblica». Neanche fosse una benevola concessione invece che uno stringente dettato costituzionale. Però il nodo sta lì, ben aggrovigliato. Non c’è solo da valutare l’eventuale capacità negoziale di un leader, che pure è un banco di prova mica da poco. Il punto vero è capire cosa succederà quando la trattativa si sposterà dal piano declamatorio ( «Queste sono le nostre condizioni, il nostro programma, i nostri ministri. E il nostro premier» ) a quello squisitamente pattizio. Quando cioè oltre che reclamare ci sarà anche da cedere. Quando bisognerà sporcarsi le mani sulle misure specifiche da adottare se si fa il governo e, udite udite, perfino sulla spartizione degli incarichi. Ossia sulle vituperate poltrone.
Sicuro che i Cinquestelle, tutti uniti e tutti insieme, pur di vedere Di Maio a palazzo Chigi cederanno su questioni di principio così caratterizzanti? Che resisteranno alle ineluttabili accuse di cedevolezza verso il potere, di imborghesimento nei riguardi dell’etichetta istituzionale?
Forse no. Forse la corsa che ha portato in tempi da record un aggregato informe e nebuloso fino alla stanza dei bottoni, che è riuscito a trasformare un manipolo di sognatori in un esercito capace di conquistare la maggioranza relativa dei voti raggiungendo percentuali tipiche della Dc della Prima repubblica, funzionerà da cemento e finirà per stritolare tutti quelli che lavorano per incunearsi.
Oppure forse sì. Forse l’unitarietà finirà per scheggiarsi o addirittura sfaldarsi perchè la trattativa logora chi non la sa fare, inficia gente alle prime armi, mica professionisti come Verdini, no?
Si tratta di un fianco che finora i Cinquestelle hanno tenuto accuratamente riparato, quasi blindandolo. Ma adesso non è più possibile. Adesso si avvicinano i passaggi chiave e bisogna stare in prima fila: adesso è giocoforza esporsi. Da venerdì, alla Camera e al Senato, e subito dopo, nei saloni del Quirinale, si ballerà senza spartito e il MoVimento potrà dare solo quello che ha, senza preventivamente sapere se risulterà sufficiente o no. Tanta gente trattiene il fiato e incrocia le dita: perchè se va male pure questa, cosa rimane? Tanta gente spera in un gran botto, confidando sul fatto che la ruota gira. Ancora un po’ di pazienza, e si capirà chi ha ragione.