È impossibile non cogliere il sottile sarcasmo di Jean- Claude Junker quando, con a fianco il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, spiega di essere «leggermente preoccupato» per il fatto che l’economia italiana «continui a regredire». Che poi è diventato insulto: «I ministri italiani sono bugiardi». Leggera o no, la verità è che quella preoccupazione è rilanciata da praticamente tutti gli indicatori economici. Il premier italiano ha spiegato che il governo si appresta a varare misure specifiche per la crescita: chissà se quel «leggermente» si farà ancora più tenue oppure no. Ciò che tuttavia colpisce è che sul problema vero, quello che fa montare la rabbia di milioni di cittadini in tutto l’Occidente, i governanti europei continuino a tenere gli occhi socchiusi. Un problema che si chiama ceto medio.

E’ un segmento sociale che l’accoppiata di crisi economica e globalizzazione ha polverizzato e impoverito. L’innesco della furia che ha devastato gli schemi politici del mondo sta lì. Il ceto medio non è massa inerte: piuttosto è il motore dello sviluppo. E’ quel pezzo di società - non l’unico ma il più corposo - dove scorre la linfa della capacità, della competenza, della valorizzazione del merito: valori che in quest’alveo trovano l’humus per arricchire i Paesi.

Nei mesi scorsi abbiamo visto migliaia di cittadini scendere in piazza per protestare contro il degrado delle città, lo stop alle opere pubbliche, il dissesto dei servizi. Civismo attivo, è stato definito questo sobbalzo delle coscienze: se ne è avuto riscontro anche nelle elezioni amministrative. Nel ceto medio vivono, e adesso soprattutto soffrono, professionalità che rappresentano l’ossatura delle società: se quel pilastro va in crisi è la stessa coesione sociale che rischia. Sommessamente e pacatamente: per favore, ve ne occupate?