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Nell’intervista apparsa su “la Repubblica” del 9 marzo, Giuseppe Conte ha detto: “In questi giorni ho ripensato a vecchie letture su Churchill, è la nostra ora più buia, ma ce la faremo”. Si fa presto a invocare Winston Churchill ma qui non ce n’è uno che abbia il fisico
Nell’intervista apparsa su “la Repubblica” del 9 marzo, Giuseppe Conte ha detto: “In questi giorni ho ripensato a vecchie letture su Churchill, è la nostra ora più buia, ma ce la faremo”. Oltre a qualche buona lettura sullo statista inglese, d’altronde non si è professore universitario in tocco e toga per niente, il presidente del Consiglio avrà forse visto anche il film per l’appunto sull’ora più buia del Regno Unito durante la guerra. Dopo essersi insediato a Downing Street, il 13 maggio 1940 chiede la fiducia alla Camera dei comuni. Dichiara: “Non ho nulla da offrire se non sangue, fatica, lacrime e sudore”. E la mozione di fiducia è approvata all’unanimità.
Ma, qui e ora, Winston Churchill dove sta? A Palazzo Chigi no. A Conte manca le phisique du role. L’uno grande e grosso, l’altro mingherlino e brevilineo. Viene in mente la battuta di Curzio Malaparte su Leo Longanesi e Mino Maccari: di notte nervosamente passeggiano sotto il letto. L’uno amante della buona cucina, l’altro sempre a stecchetto. L’uno incapace di stare senza un buon whisky, l’altro se non astemio poco ci manca.
L’uno fumatore di sigari Avana, l’altro un salutista che aborre il fumo. Soprattutto, l’uno ha preso l’opinione pubblica per le corna e l’ha messa di fronte alla gravità del momento. Mentre l’altro ha dato l’impressione di andare a rimorchio un po’ di tutti. Dell’opinione pubblica, che non andava spaventata più di tanto. Della coalizione ministeriale, che sta ancora in piedi perché alla scuola di Giulio Andreotti ritiene che sia meglio tirare a campare che tirare le cuoia.
Dei presidenti delle regioni del Nord e dello stesso Matteo Salvini, che dapprima hanno colpevolmente preso tempo.
Salvo poi abbracciare la filosofia del primum vivere, deinde philosophari. E imputare al premier la politica dei piccoli passi. Più che passi, passettini ini ini.
Conte poi ci ha messo del suo. Al carattere non si comanda. E il carattere viene allo scoperto proprio dall’intervista citata. Dice: “Il Nord non è propriamente una zona rossa, perché non abbiamo posto un divieto assoluto di ingresso e di uscita tra le due grandi aree del paese. Abbiamo però introdotto delle limitazioni alla circolazione delle persone, che valgono anche all’interno dell’area settentrionale”. Come per Badoglio, la guerra continua. Ma appena appena. Forse che sì, forse che no. Afferma: “Non è facile cambiare da un giorno all’altro abitudini di vita e accettare sacrifici personali in vista di un bene collettivo”.
Ancora: “Continuiamo ad agire seguendo la linea della massima precauzione e della proporzionalità delle misure messe in campo rispetto all’evolversi della situazione”. Un democristiano sputato. Non solo non è l’uomo della Provvidenza, ma – a differenza del divo Giulio – neppure della previdenza. Perché Conte ha adottato, uno dopo l’altro, decreti correttivi di quelli precedenti. Fino a quello dell’ 11 marzo. Che rischia di non essere risolutivo perché, uomo indeciso a tutto, non se l’è sentita di sigillare lo Stivale. Per non parlare dei contenuti normativi dei decreti, scritti in guisa tale da essere suscettibili delle più diverse interpretazioni. E noi siamo bravissimi a dare quella che più fa comodo.
Lo statista britannico non s’è visto neppure a Montecitorio e a Palazzo Madama.
Prima di essere ridimensionati dalla legge costituzionale che verrà confermata dal referendum, hanno pensato di autoridursi già adesso per rispettare in aula la distanza di sicurezza tra un rappresentante del popolo e l’altro. Dopo la seduta di ieri l’altro, la Camera tornerà a riunirsi mercoledì prossimo alle 15 con all’ordine del giorno lo svolgimento di interrogazioni a risposta immediata. Che, come sempre, si svolgerà alla presenza di pochi intimi. Mentre il Senato è convocato addirittura il 25 marzo per ascoltare le comunicazioni di Conte in vista del Consiglio europeo del 26 e 27 marzo. Per la gioia di quattro gatti. Ai tempi dell’alluvione del 1996, un artigiano fiorentino chiuse la bottega con la scritta “Chiuso per nervoso”. Il Parlamento invece chiude i battenti per paura del contagio. Preoccupazione legittima, tanto più che già un deputato è risultato positivo. Ma da una classe politica degna di questo nome ci si attenderebbe ben altro. Specie in un’ora buia come questa. Quel che accade, ha osservato su “il manifesto” un costituzionalista acuto e misurato come Massimo Villone, “è uno spot per chi vuole rottamare la democrazia rappresentativa”.
Non avrebbe potuto dire meglio.
Del resto, Churchill inorridirebbe alla vista di migliaia di gente fuggita al Sud con il rischio di infettarlo. Alla vista di giovani, cresciuti a carezze e Nutella, allergici a ogni regola. Alla vista di calciatori della Juventus che si danno baci e abbracci dopo i due gol rifilati all’Inter. E uno di loro si è infettato. Ma poi Churchill dovrebbe convenire sul fatto che in un Paese dove si va in guerra come se fosse una partita di calcio e si gioca una partita di calcio come se si andasse in guerra, ci sono – vivaddio – delle isole felici. Sono i nostri ospedali, con medici e infermieri che da settimane fanno miracoli per salvare vite umane. Sono i mille posti dove ciascuno con spirito di servizio fa il proprio dovere. Fino in fondo.
Sì, è così. Noi siamo un popolo che, con buona pace di Bertolt Brecht, ha un disperato bisogno di eroi.