«La violazione del segreto, la diffusione di notizie non rilevanti dal punto di vista penale, è un danno per la magistratura». Marcello Maddalena non esita a mettere i guardia i pm dalla tentazione del processo mediatico. Ma l’ex procuratore generale di Torino sa bene che non tutti i magistrati sanno resistere a quella tentazione. «Il pericolo c’è, non vederlo è segno di miopia e anche per questo credo siano sagge le norme che attribuiscono al procuratore capo il potere nei rapporti con i mezzi di informazione».Potere che il capo della Procura di Palermo ha energicamente rivendicato in una nota rivolta ai propri aggiunti. Ha evocato la norma del 2006 sulle prerogative dei capi degli uffici. E l’ipotesi di riforma della commissione Vietti ben si guarda dall’intaccare quel potere.Intanto se c’è una previsione legislativa va rispettata. Nel caso parliamo dell’articolo 5 del decreto legislativo 106 del 2006. Norma che non ammette equivoci: la competenza del rapporto coi media è del capo. Si tratta di una regola opportuna perché gli uffici di Procura hanno il compito di agire verso tutti, e il manifestarsi di divergenze operative sarebbe poco compreso all’esterno.Quindi il procuratore di Palermo Lo Voi ha fatto bene a rivendicare i propri poteri.Sì, è non solo dovuto ma opportuno che i rapporti con la stampa siano tenuti da lui. Il singolo sostituto può affiancarlo di volta in volta su questioni specifiche, ma bisogna impedire un’indiscriminata proliferazione di interviste.A Palermo è diventata pubblica addirittura una circolare riservata con cui Lo Voi mette in guardia i pm da rischi per la loro sicurezza.Se un atto è riservato deve restare tale. A mio giudizio o si riduce l’area del segreto e della riservatezza o se ne deve pretendere il rispetto. Nel caso del rapporto con i media la leggerezza non può spingere a violare i limiti.Il discorso vale anche per le intercettazioni?Sì, è da molto tempo che sostengo la necessità di pubblicare e soprattutto di utilizzare nel procedimento solo le intercettazioni che hanno effettiva rilevanza penale. Certo, ci sono conversazioni non strettamente riferibili a reati ma che sono utili a definire la rilevanza penale dei fatti oggetto d’indagine. Ma, quando non ricorrono questi requisiti, sono assolutamente contrario a rendere pubbliche le intercettazioni e a utilizzarle in ambiti diversi dall’indagine.Ambiti diversi come la divulgazione a mezzo stampa?L’articolo 15 della Costituzione garantisce la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione. È da anni che quel principio viene frequentemente tradito.Crede alla storia degli avvocati che passano le intercettazioni ai giornali?Non escludo nulla, ma gli atti possono arrivare ai giornali anche in altri modi. Di sicuro in questo campo abbiamo assistito a molte esagerazioni.Se si accertasse che intercettazioni coperte da segreto sono state diffuse da un pm, sarebbe giusto punirlo con sanzioni disciplinari?Con sanzioni disciplinari, certo: in ipotesi del genere per la verità ci si può trovare anche di fronte a dei reati. Sicuramente l’obbligo del segreto vale anche per il magistrato. Parliamo di notizie davvero segrete: in caso di violazione è già prevista, tra l’altro, l’apertura di un procedimento disciplinare.Sarebbe opportuno ribadire queste norme nella riforma delle intercettazioni?Le ripeto: le norme esistono. Sono quelle che regolano in generale la divulgazione indebita di notizie. Così come ci sono già fattispecie disciplinari che, anche laddove non sussista specifico reato, regolano la divulgazione di atti coperti da segreto dovuta anche a negligenza, o la violazione dell’obbligo di riservatezza. Mi riferisco ad esempio all’articolo 2 del decreto legislativo 109 del 2006.Basta far rispettare le norme esistenti, insomma.Parliamo del provvedimento che esattamente dieci anni fa ha riordinato il codice deontologico dei magistrati e ha indicato i doveri la cui violazione può produrre sanzioni disciplinari, appunto.Come si può estendere, diciamo così, l’osservanza di questi principi?Con lo sforzo per esempio di limitare, al momento della richiesta di rinvio a giudizio, l’uso delle intercettazioni a quelle che abbiano effettiva rilevanza penale.Processo mediatico: dobbiamo rassegnarci o è una distorsione da superare?Sono contrario al processo mediatico fatto durante le indagini preliminari. Credo non sia tollerabile che dei dibattimenti non si interessi più nessuno e che l’attenzione si concentri tutta su una fase come quella della indagini in cui vige il principio del segreto.Come ne usciamo?Guardi, ci siamo finiti anche per certi salti mortali del nuovo codice di procedura penale, in cui si è cercato di salvare capra e cavoli e si è arrivati a dire che gli atti sono segreti ma il contenuto degli atti non è segreto... Pasticci al di là di ogni limite.Nell’opinione pubblica c’è voyerismo giudiziario?C’è, questo è vero, ma assecondarlo è pericoloso per il magistrato. Se si estendono le possibilità di utilizzazione degli atti, se si comincia a dire che certi atti hanno rilevanza politica e l’opinione pubblica ha il diritto di conoscerli, il magistrato finisce per essere trascinato in un agone in cui è esposto all’accusa di essere coinvolto in questioni politiche. E la politicizzazione è la peggior accusa per un magistrato.Il processo mediatico è un danno innanzitutto per la magistratura, lei dice: ma è anche una tentazione a cui qualche pm cede?È un danno di sicuro. Quanto alla tentazione non mi permetto di dare questo tipo di giudizi. Ma mi rendo conto che si tratta di un pericolo e che non vederlo è segno di miopia. Anche per questo le norme che assegnano ai procuratori capo il potere nel rapporto coi media, sono norme molto sagge.