Giovanni Fiandaca in un lucido scritto è intervenuto sulla questione della giustizia enfatizzata dalle polemiche degli ultimi giorni e dalle dichiarazioni del Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati nonché di un componente del Consiglio Superiore. “La polemica” dice Fiandaca “riaccende i riflettori sulla politicizzazione della magistratura”. In verità questa polemica che dura da lungo tempo ha portato ad uno scontro tra potere politico e potere giudiziario. Fiandaca auspica che si “sviluppi un corale e meditato dibattito sul modello di giudice adeguato ai nostri tempi”.Rispondo al suo autorevole invito e ripropongo una mia analisi sul ruolo del magistrato nel secolo XXI che sfugge certamente ad un “preconcetto critico o ad una preconcetta difesa”.Una presa di posizione pregiudiziale alimenta una polemica inutile perché legata ad una concezione della giurisdizione completamente superata e per questo la magistratura si accanisce a chiudersi in se stessa, a costituirsi come casta che non ammette critiche di nessun tipo.Se la magistratura avesse la consapevolezza del suo nuovo ruolo nello Stato e nella società contribuirebbe ad elaborarlo e aiuterebbe il legislatore a disciplinarlo: ma non accetta discussione.La novità degli ultimi anni riguarda dunque il ruolo del giudice nella società moderna, profondamente diverso da quello degli anni in cui è stata varata la Costituzione repubblicana, e dunque la funzione “nuova” della giustizia che ne deriva non consente di avere ancora come riferimento normativo e sistematico “l’ordine autonomo” della magistratura come previsto dalla Costituzione.I magistrati alimentano l’equivoco della cultura della giurisdizione che deve essere patrimonio anche “del Pubblico Ministero e della impossibilità di distinguere il suo ruolo da quello del giudice, sostenendo che la pubblica accusa ha un ruolo indipendente, ed è parte integrante della giurisdizione.Il giudice è andato acquisendo in Italia, un potere che non appartiene alla tradizione del nostro stato di diritto perché il significato nuovo della giurisdizione ha superato il dettato costituzionale che indicava la magistratura come “ordine” neutro, “bocca della legge”. Il rapporto istituzionale si è rotto perché il potere legislativo non è stato in grado di prendere atto di queste profonde modifiche e di intervenire per “regolare” quel potere. Ogni potere non può non essere riconosciuto e appunto “regolato”, mentre la magistratura, pur esercitando un “potere” per la assoluta preminenza che ha assunto la giurisdizione ha continuato ad essere inevitabilmente - organismo corporativo: una contraddizione che determina anomalie e contrasti.Questo ruolo è maturato lentamente in questi anni con l’indifferenza del legislatore: il Parlamento ha approvato leggi sempre più imprecise e generiche per assegnare un ruolo di supplenza alla magistratura, la quale non si sente più sottoposta alla legge, ma sta “di fronte alla legge”, per ripetere una splendida espressione di un vecchio giurista come Mastursi.Quando il Parlamento, per fare un altro esempio, prevede il reato di “traffico di influenze illecite”, costruito sul nulla e dà al magistrato il massimo di discrezionalità per definire la fattispecie del reato a suo piacere, siamo alla follia legislativa che determina inevitabilmente conflittualità e rapporti cattivi tra le Istituzioni.Quando i costituenti scrissero la Costituzione la magistratura era altra cosa e la giustizia aveva un valore autonomo e residuale nel senso che la certezza del diritto e delle norme, in un preciso contesto codicistico, garantiva la terzietà del giudice, la sua scontata imparzialità e la sua estraneità rispetto alle passioni politiche. La espansione del potere giurisdizionale ha alterato l’equilibrio tra i poteri così come l’aveva concepito Montesquieu. È questa la questione della giustizia in Italia che Fiandaca indica nel suo scritto come conclusione di una lunga riflessione.E’ doveroso dunque prendere atto del nuovo ruolo che esercita la magistratura, e anziché demonizzarla, disciplinarla per realizzare un nuovo equilibrio tra i poteri e quindi, un rinnovamento reale dello Stato. Bisognerebbe dunque modificare la Costituzione per far “cambiare verso” all’Italia, come ripete fino alla noia Matteo Renzi ma la magistratura sa che il potere politico e legislativo è reticente e timoroso.Dunque l’accresciuto rilevo della giurisdizione nelle democrazie moderne è un fenomeno nuovo rispetto ad un passato caratterizzato da una netta separazione tra i paesi di civil law e le esperienze judicial activism, e cioè da un processo di compensazione che deriva dalla incapacità delle organizzazioni politiche a rappresentare e soddisfare le istanze sociali, sempre più complesse, molteplici e differenziate, mentre il potere giurisdizionale funziona come un canale complementare rispetto a quello politico.Già Weber aveva in qualche modo segnalato il rischio di un’operazione di trasposizione del modello americano in seno a istituzioni giudiziarie coltivate nel mito del formalismo giuridico. E Schmitt, a sua volta, si chiedeva se, ponendosi i magistrati come “custodi della Costituzione” cosi come in Italia si vuole che sia, non si rischiasse di produrre” non una qualche giurisdizione della politica, ma una politicizzazione della giurisdizione”.Il fatto è che questa nuova funzione dei magistrati resta inserita nel contesto di una cultura “attivistica” dello Stato, e dunque priva di quel controbilanciamento normativo culturale che è costituito da una società forte, che chiede e pretende il rispetto dei propri diritti. In Francia e in altri Paesi Europei è stato adottato un efficace sistema di checks and balance, e in Italia il protagonismo del giudiziario è l’effetto di più profondi cambia- menti politico - istituzionali, che determinano, come sostiene finanche Stefano Rodotà, che lamenta “continui attraversamenti dei confini tra giustizia e politica, che ingenuamente qualcuno continua a ritenere fissati una volta per tutte”. Il processo di “politicizzazione” della magistratura è, infatti, al centro del dibattito da più di trent’anni, ad indicare che un progressivo abbandono della condizione di potere “neutrale”, ha significato per il giudiziario l’assunzione di un ruolo conflittuale nei confronti del potere politico”.È estremamente importante trarre alcune conseguenze da queste valutazioni che debbono appunto tener conto del contesto nazionale ed europeo nel quale operano.Nel secolo scorso tutti i paesi democratici hanno registrato una espansione dei propri compiti. Dalle originarie funzioni d’ordine degli Stati liberali: difesa, ordine pubblico, giustizia, fisco si è passati a interventi dello Stato in moltissimi altri settori, compresa l’erogazione di servizi. Sono cresciute di conseguenza le funzioni pubbliche di regolazione delle attività umane e questa tendenza, lungi dall’esaurirsi, mostra anzi una vocazione all’ulteriore espansione.Le società democratiche cercano tuttavia di controllare questo processo su due versanti.Il primo è quello del rapporto tra autorità e libertà, dunque tra Stato e cittadini. Il secondo è quello del rapporto tra i poteri pubblici, alla ricerca di un equilibrio nel quale nessun potere deve assumere un predominio sugli altri. Friedman ha mostrato come lo strumento più adatto per assicurare l’equilibrio tra i poteri sia la predisposizione di un sistema di checks and balances, ossia di un sistema di controlli e contrappesi in virtù del quale ciascun potere pubblico limita gli altri ed è dagli altri limitato.L’originaria concezione della separazione dei poteri elaborata da Montesquieu non è più oggi - ammesso che lo sia stata un tempo - pienamente operativa. Essa è integrata, nei sistemi costituzionali moderni più avanzati, dalla concezione di una parallela connessione tra i poteri, in funzione di coordinamento e controllo reciproco. Ciò è avvenuto in Francia, in Inghilterra, negli Stati Uniti ma non nel nostro Paese.Nessuno può negare che gli ambiti di discrezionalità interpretativi che il giudice è chiamato a gestire dipendono come si è detto anche dalla a sistematica e spesso generica formulazione delle norme da applicare.Non si tratta dunque di riportare il ruolo della Magistratura verso modelli anacronistici del passato, ma soltanto di stabilire le regole per il nuovo ruolo che correttamente Fiandaca ci consiglia di approfondire. Bisogna cioè prendere atto che il potere giudiziario ha, nella società contemporanea, un ruolo, come si è detto diverso da quello che aveva nello Stato liberal borghese, e far evolvere questo nuovo ruolo nel quadro costituzionale, in modo non separato da quello degli altri poteri, ma connesso e coordinato… Innanzi tutto, occorre che anche il potere giudiziario si svolga in un quadro di responsabilità dei giudici la quale, sia ben chiaro, non è in contrasto con l’indipendenza costituzionale della Magistratura.La legittimità di una magistratura indipendente si basa, quindi, non sulla sua rappresentatività democratica, ma, su forme di responsabilità e soprattutto sul fatto di doversi conformare ai caratteri tipici del procedimento giurisdizionale: primi fra tutti la parità delle parti e la terzietà e imparzialità del giudice.In questo contesto il riconoscimento di un nuovo ruolo adeguato ad un nuovo potere giudiziario è essenziale per realizzare l’equilibrio e l’armonia tra i poteri.