Tornare per l’ennesima volta a parlare di riforma elettorale conferma il pericoloso ipercinetismo che caratterizza il nostro ordinamento politico- costituzionale. Unica tra gli Stati democratici stabilizzati l’Italia ha, infatti, mutato per 7 volte negli ultimi 27 anni il proprio sistema elettorale per le Assemblee legislative nazionali.  Pericoloso in un sistema politico non riallineato puntare su un “ maggioritario semplificatore”

Per circa più di 40 anni l’ordinamento italiano, caratterizzato dalla presenza di formazioni bilaterali antisistema, tra cui il maggior partito comunista dell’Europa occidentale, aveva adottato un sistema basato su formula proporzionalista e collegi di media dimensione, con selettività non rilevante per entrambe le due Camere.

Sulla base della crisi sistemica e del presupposto errato che il sistema si fosse normalizzato alla fine degli anni ottanta, il referendum sul sistema elettorale del Senato del 1993 condusse alla approvazione delle due leggi per l’elezione delle Camere per tre- quarti di tipo maggioritario ( Mattarellum). Ricordo solo le tappe successive, caratterizzate dall’approvazione nel 2005 del premio di Maggioranza ( Porcellum); dall’intervento della Corte costituzionale nel 2014 e nel 2017, dall’approvazione dell’Italicum e poi del Rosatellum.

Oggi, dopo la rottura dell’alleanza bipopulista di governo tra M5S e Lega, sulla base di una situazione che alcuni definiscono di emergenza democratica a causa del consenso potenziale per formazioni sovraniste antisistema, si parla di reintrodurre un sistema di tipo proporzionale. La Lega di Matteo Salvini, di fronte allo scacco d’agosto che ha impedito il ritorno anticipato alle urne e la conseguente capitalizzazione del consenso, ha annunziato, invece, il ricorso alla via referendaria entro la fine di questo mese, ricorrendo alla cosiddetta mossa del cavallo referendario. Il leader leghista ipotizza ( sostenuto da Giorgetti e Calderoli) un referendum abrogativo ex art. 75 della Costituzione per la parte proporzionalistica del sistema elettorale vigente proposto da parte di almeno 5 consigli regionali ( v. art. 9, L.

352/ 1970). L’obbiettivo è quello di trasformare il meccanismo vigente in un sistema maggioritario ad un turno solo di tipo britannico, adottato in Italia( ma mai applicato) con la legge 122 del 1925. Il panorama risulta complicato dalla richiesta del M5S di pervenire alla definitiva approvazione della riforma, contenuta già nel contratto di governo dell’anno scorso e ribadita negli accordi di quest’anno, degli art. 56 e 57 della Costituzione. che riduce del 36% i membri delle Assemblee parlamentari.

L’innovazione, calendarizzata per il voto definitivo oggi alla Camera, verrebbe facilitata dalla recente Legge n. 51/ 2019 Disposizioni per assicurare l’applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari, che attribuisce il compito della ridefinizione dei collegi e delle circoscrizioni al Governo.

E’ bene avvertire, però, che la diminuzione del numero dei deputati ( da 630 a 400) e dei senatori ( da 315 a 200) avrebbe, senza alcun dubbio, effetti fortemente riduttivi della rappresentanza delle minoranze soprattutto per quanto riguarda il Senato della Repubblica, costituendo un premio implicito per la formazione più forte sul piano nazionale.

Di qui la richiesta di molti ( tra cui anche della renziana Italia viva) volta a pervenire ad un meccanismo elettorale sostanzialmente proiettivo, compresa la contrarietà responsabile di Berlusconi nei confronti dello scivolamento verso il sistema maggioritario ad un turno solo. La l. 51/ 2019, approvata, per rendere possibile le citate modifiche costituzionali non assicura in alcun modo che il referendum Salvini sia dichiarato ammissibile dalla Corte, in quanto la giurisprudenza della stessa richiede che il sistema di risulta sia perfettamente funzionante al momento dell’esito referendario.

Di più la Corte potrebbe ritenere irragionevole un meccanismo che alzi la soglia di rappresentanza implicita sul piano nazionale o circoscrizionale a livello indebito. In una situazione di estrema confusione e di liquidità del sistema partitico, sembra sia necessario evidenziare alcuni punti fermi.

1- I sistemi elettorali costituiscono strumenti tecnici ad alta valenza politica i cui limiti sono evidenziati dalla forma di Stato di democrazia pluralista e dalla concreta natura dei rapporti interpartitici.

2- Essi rappresentano norme di regime, ovvero fotografano all’interno dei parametri della forma di Stato gli interessi dei maggiori protagonisti della contesa.

3- La caratteristica dei sistemi continentali rispetto a quelli anglo- americani è stata quella di adottare sistemi che, nella società di massa democratica, garantiscano la rappresentanza e favoriscano la governabilità sulla base della natura delle forze presenti nell’arena.

4- Il sistema italiano è sempre stato caratterizzato da alte percentuali di voto a partiti antisistema, che hanno reso preferibile con il suffragio allargato, meccanismi basati sulla specularità media( 1948- 1993).

5- In Italia tutti coloro che sono stati favorevoli a innovazioni del sistema elettorale in senso maggioritario prima lo hanno proposto con l’intento di neutralizzare le opposizioni antisistema, poi sulla base del presupposto che il sistema si fosse normalizzato.

6- La dinamica del sistema politico- partitico ha smentito questo presupposto, evidenziando la persistenza di forti formazioni populiste e nazional- populiste, capaci sulla base del decremento dell’adesione ai partiti delle famiglie politiche tradizionali, dell’astensionismo nel voto e dal voto e della volatilità delle preferenze di assumere posizioni determinanti.

7- Il riallineamento del sistema partitico è ancora in corso e proposte maggioritarie semplificatrici possono risultare o pericolose o inefficienti.

8- L’attuale governo di emergenza democratica( perché tale è) non può prospettare pericolose modificazioni in senso selettivo, sebbene ipotesi razionalizzatrici.

9- L’ipotesi di un sistema tedesco basato sulla cosiddetta proporzionale personalizzata con clausola di esclusione potrebbe essere una soluzione adeguata, ma dovrebbe essere accompagnata da regole incisive, come richiedeva lo stesso Costantino Mortati proprio 70 anni fa, per quanto riguarda la selezione delle candidature ed i diritti degli iscritti.

Nell’eterna transizione italiana che oggi si inscrive nella crisi degli ordinamenti democratici, c’è quindi da riscoprire la virtù della regolazione opportuna della legislazione elettorale di contorno, evitando l’uso rapsodico del colpo di forza o la paura dell’azione.

* Professore ordinario di Diritto costituzionale italiano e comparato nell’Università “La Sapienza” di Roma