PHOTO
Mitja Gialuz, avvocato e professore ordinario di Diritto processuale penale nell’Università di Genova
Un articolo di ieri del Domani, a firma della giurista Vitalba Azzollini, titolava: “È stata la Cartabia a permettere a chi ha patteggiato di candidarsi”. In pratica la nuova norma, come si legge nel pezzo, «ha implicitamente abrogato le disposizioni della legge Severino sulla incandidabilità in ipotesi di sentenza di patteggiamento». Ne parliamo con Mitja Gialuz, avvocato e professore ordinario di Diritto processuale penale nell’Università di Genova, che ha fatto parte della Commissione ministeriale coordinata da Giorgio Lattanzi voluta dall’ex ministra della Giustizia Marta Cartabia per la riforma del processo penale.
Professore quando avete modificato il codice di procedura penale, eravate pienamente e convintamente consapevoli di questa ricaduta?
Anzitutto, mi lasci dire che sarà la giurisprudenza a dover interpretare gli effetti della riscrittura dell’art. 445, comma 1- bis, c. p. p.: dubito che si possa parlare di una vera e propria abrogazione. Ad ogni modo, certamente la scelta politica al fondo della legge n. 134/ 2021 e del d. lgs. 150/ 2022 era ispirata dalla volontà di ridimensionare gli effetti extrapenali del patteggiamento con l’obiettivo di rendere finalmente più appetibile il rito speciale.
Invece che far venir meno l’equiparazione disposta dalla legge Severino tra sentenza di condanna e sentenza di patteggiamento al di fuori dall’ambito penale, non sarebbe stato meglio metter mano direttamente alla Severino laddove prevede la sospensione temporanea per gli amministratori locali in caso di condanna di primo grado?
Non bisogna confondere i piani. Per un verso, va detto che la riforma Cartabia non tocca solo la ' Severino', ma le leggi speciali che - discutibilmente - equiparavano in peius il patteggiamento alla condanna dibattimentale. Per altro verso, la previsione della sospensione temporanea per gli amministratori locali condannati in primo grado contemplata dalla legge “Severino” può porre un problema di compatibilità con la presunzione di innocenza: mi pare che vi sia un ampio e trasversale consenso tra le forze politiche a intervenire sul punto.
In una cultura come la nostra, dove persino quando una persona viene assolta il Tribunale del popolo si spinge ad accusare il giudice di connivenza, un patteggiamento, che nel nostro ordinamento non presuppone una esplicita dichiarazione di ammissione di responsabilità, resta comunque un marchio sulla persona, figuriamoci su un politico che voglia proseguire la sua attività nella res publica.
È vero che il clima – alimentato spesso dai media e dai social network – è connotato da pulsioni “giustizialiste”. Bisogna però opporsi a questa deriva e voglio ricordare che si è cercato di intervenire in tal senso: penso in particolare all'attuazione della direttiva 2016/ 343/ UE sulla presunzione di innocenza. Non vi è dubbio che le norme del 2021 presentano profili problematici, ma costituiscono un significativo passo avanti sul piano culturale.
Partendo dal presupposto che non è obbligatorio richiedere il patteggiamento, l’incentivo ad esso previsto dalla riforma Cartabia non indebolisce l’importanza del processo e la presunzione di innocenza?
Il tema della marginalizzazione del processo ordinario come conseguenza dell'opzione per i riti speciali interessa pressoché tutti gli ordinamenti processuali penali del mondo. I sistemi processuali non possono funzionare senza alternative al processo ordinario. Dopo di che bisogna fare attenzione alle garanzie di contesto: nel nostro sistema il pubblico ministero può legittimamente rigettare il consenso al patteggiamento se non ritiene congrua la sanzione (ad esempio perché, nel patteggiamento allargato non è prevista l’applicazione delle pene accessorie); e vi è un ulteriore controllo del giudice. Vi sono quindi dei presidi di legalità, che si inseriscono ragionevolmente nel contesto negoziale.