I procuratori della Repubblica nuovi “signori” dell’informazione? Probabilmente sì, secondo il “Press Report 2023”, realizzato dal Gruppo cronisti lombardi in collaborazione con il Sindacato cronisti romani di Stampa Romana (Fnsi). Il documento raccoglie anche alcune storie giornalistiche condizionate dalla normativa nazionale - le disposizioni in materia di comunicazione giudiziaria introdotte dalla riforma Cartabia, entrata in vigore alla fine del 2021 – sulla scia della direttiva europea 343 del 2016 sulla presunzione di innocenza. Un provvedimento controverso e divisorio, che potrebbe condizionare pesantemente la diffusione delle notizie. Quando non è possibile reperirle, a causa dei muri, spesso invalicabili, costruiti dalla normativa vigente, il rischio che si generi una informazione del chiacchiericcio, non verificata e poco attendibile, oppure ad una informazione negata è concreto.

Nei casi peggiori, poi, addirittura si potrebbe generare un “mercato nero” delle notizie. Dei veri e propri paradossi nel ventunesimo secolo, quando le notizie circolano alla velocità della luce, in tempo reale, in un mondo sempre più affamato di informazione, possibilmente di qualità. Non a caso il “Press Report 2023” evidenzia che il «diritto di cronaca è sotto attacco, e serve una nuova linea d’azione per i giornalisti».

In questo contesto, dove sembra essere passati da un eccesso all’altro, occorrono alcuni pesi e contrappesi. «Bisogna superare – dice al Dubbio Oliviero Mazza, ordinario di diritto processuale penale nell’Università di Milano- Bicocca - la prassi del deposito degli atti in edicola, oggi online, formalizzando un deposito ufficiale presso la Procura a favore di una stampa finalmente libera dai rapporti personali con gli inquirenti» . Di qui una proposta concreta: il fascicolo del giornalista. «Sarebbe – aggiunge Oliviero Mazza una riforma capace di garantire e bilanciare tutti gli interessi in gioco, compresa la presunzione d’innocenza, ponendo altresì fine alla farsa delle fughe di notizie».

Professor Mazza, il “Press Report 2023” pone l’accento sulla limitazione del raggio d’azione per la stampa, dopo alcuni interventi normativi. Una preoccupazione fondata?

Il recepimento della direttiva europea sulla presunzione d’innocenza non mi sembra abbia radicalmente cambiato i rapporti fra stampa e organi inquirenti. Rimangono sempre due canali paralleli, quello ufficiale, asfittico e formalizzato nei comunicati stampa, e quello ufficioso, molto più diffuso e fondato su relazioni o contatti personali. Non parlerei, quindi, di legge- bavaglio, ma di un provvedimento che regola il versante ufficiale, quello meno rilevante, e che non incide minimamente sui veri rapporti fra giornalisti, magistrati e poliziotti che rimangono confinati all’ombra dei comunicati stampa.

Lei è molto attento alle dinamiche che riguardano e regolano l’accesso alle fonti giornalistiche. Nel corso degli anni abbiamo assistito ad alcune distorsioni o peggio ad alcune degenerazioni?

Segnalo da tempo i pericoli di una dipendenza informativa dei giornalisti dagli inquirenti, situazione deprecabile che si sviluppa al di fuori di ogni regolamentazione, ossia sul versante ufficioso, e che viene ulteriormente incentivata dalle formalità del decreto legislativo 188 del 2021. Il giornalista deve guadagnarsi sul campo la benevolenza del magistrato o, peggio ancora, del poliziotto che gli offre le notizie in cambio, evidentemente, di una cronaca “addomesticata”, sbilanciata su una ipotesi di colpevolezza che nella narrazione giornalistica assurge quasi sempre a certezza processuale. Ma vorrei aggiungere un’altra cosa su questo aspetto.

Prego, dica pure…

La dipendenza informativa, per di più sul versante obliquo dei rapporti personali, determina inevitabilmente una profonda distorsione della cronaca giudiziaria, raggiungendo così proprio l’effetto opposto rispetto a quello voluto dalla direttiva sulla presunzione d’innocenza. Paradossalmente, la scelta, invero velleitaria, di ingessare ogni informazione nei comunicati stampa ufficiali, voluta dalla riforma per tutelare l’immagine pubblica dell’indagato, amplifica il ricorso a canali informali e le conseguenti distorsioni mediatiche. Si ottiene così il risultato esattamente contrario a quello voluto, come dimostrano le modalità di narrazione dei fatti di cronaca giudiziaria che non hanno finora registrato alcun significativo cambiamento.

Come si esce fuori da questo circuito? Cosa suggerisce a tal riguardo?

Per risolvere il problema, o almeno per tentare di trovare una soluzione effettiva, bisogna rompere gli schemi del passato e pensare a soluzioni innovative. Anzitutto, occorre liberare i giornalisti dalla deprecabile dipendenza informativa rispetto agli inquirenti, che non solo è la causa principale delle distorsioni del processo mediatico, ma finisce per svilire il ruolo della stampa a “mendicante” di notizie, determinando anche odiose disparità di trattamento fra chi è introdotto negli uffici di Procura e chi invece non lo è. Per rompere questo circolo vizioso bisogna pensare a un vero e proprio fascicolo in cui depositare gli atti ostensibili alla stampa. Caduta la segretezza interna, ossia una volta che i diretti interessati ne hanno avuto legittima conoscenza, certi atti fondamentali del procedimento devono essere messi a disposizione dei giornalisti in un apposito fascicolo depositato in Procura, liberamente e ufficialmente accessibile alla stampa.

Questa soluzione che lei suggerisce eviterebbe anche delle notizie fatte a immagine e somiglianza di qualcuno?

Anche questo. Così si otterrebbe l’ulteriore positivo risultato di evitare travisamenti degli atti, cronache “addomesticate” e fughe di notizie. Tutto deve avvenire alla luce del sole con una conoscenza diretta ed ufficiale di determinati atti. Mi sembra l’unico modo, in una democrazia, per garantire il diritto a una informazione libera, equilibrata e possibilmente oggettiva. Il fascicolo del giornalista sarebbe una riforma capace di garantire e bilanciare tutti gli interessi in gioco, compresa la presunzione d’innocenza, ponendo altresì fine alla farsa delle fughe di notizie che, pur costituendo reato, dalla pubblicazione arbitraria di atti alla violazione del segreto d’ufficio, rimangono sistematicamente impunite per esserne ignoti gli autori.