«Due bagliori nel buio del populismo» : così definisce Vittorio Manes, avvocato e professore ordinario di Diritto penale all'Università di Bologna, le iniziative parlamentari del senatore di Forza Italia Pierantonio Zanettin e del deputato di Azione Enrico Costa in materia rispettivamente di trojan e prescrizione.

Questione giustizia con un pezzo del direttore Nello Rossi, che ha espresso una sua personalissima posizione, ha aperto il dibattito sulla proposta del senatore di Forza Italia Zanettin che propone di escludere l’impiego del captatore informatico nei procedimenti per delitti contro la pubblica amministrazione. Che ne pensa?

Quella sostenuta da Nello Rossi è una proposta del tutto condivisibile e razionale. Finalmente ci si sforza di riportare equilibrio in un dibattito spesso banalizzato a colpi di slogan. Solo esigenze di difesa sociale particolarmente gravi ed eccezionali possono legittimare l’utilizzo di determinati strumenti di ricerca della prova come il trojan, di portata micidiale, che realizza una straordinaria ingerenza e intrusività nelle sfere dei diritti individuali. Aver esteso l’uso del captatore informatico ai reati contro la Pubblica amministrazione è del tutto irragionevole, come lo è la tendenziale equiparazione della disciplina tra criminalità organizzata e crimini dei colletti bianchi. Quindi condivido la proposta del senatore Zanettin nel merito e nel metodo e sono molto lieto che essa abbia trovato la condivisione di un autorevole esponente della magistratura requirente, seppur a titolo personale, come Nello Rossi. Questa è la prova che sulle idee, sui principi, sui valori, sulla razionalità nell’affrontare i temi della giustizia penale c’è ancora la speranza di trovare una convergenza.

Il presidente dell’Ucpi Caiazza ha spesso parlato di “ossessione del doppio binario”. Anche la questione del trojan riapre questa riflessione. Non sarebbe pure questo il caso di eliminare questo doppio binario, anche se stiamo parlando di reati di criminalità organizzata?

Un sistema di giustizia aggiornato necessariamente conosce delle differenziazioni di trattamento, anche in ragione della articolata gravità dei fenomeni criminali che vuole contrastare. Il problema è quando queste differenziazioni si sostituiscono al sistema stesso. Senza contare che qualsiasi eccezione, una volta inoculata nel sistema, tende prima o poi fatalmente a trasformarsi in regola: basti pensare alla progressiva estensione del catalogo terribile dei reati di cui all’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario, ai trojan appunto, alle misure di prevenzione e al regime del 41bis. Sono tutti strumenti introdotti sotto l’apparente legittimazione di una misura eccezionale per contrastare fenomeni e fenotipi criminosi emergenziali come la criminalità organizzata di stampo mafioso, strumenti che si sono poi incistati nel sistema, ampliando sempre di più il loro raggio di azione.

A tenere banco in questi giorni è la questione prescrizione. L'ordine del giorno del deputato di Azione Enrico Costa per tornare all'ante Bonafede è stato accolto dal Parlamento. Lei è d’accordo?

Certamente sì. Così come la proposta di Zanettin anche questa di Costa è meritevole di condivisione. La riforma Bonafede è stata una regressione in termini di civiltà del diritto. L’eliminazione di fatto della prescrizione dopo la sentenza di primo grado è una assurdità che getta l’imputato in balìa dello Stato senza alcun limite temporale, come un suddito assoggettato all’arbitrio del Leviatano. La riforma Cartabia, coraggiosamente, ha cercato di porre rimedio, introducendo però un sistema di improcedibilità processuale molto problematico e farraginoso, con criticità anche costituzionali. Reintrodurre la prescrizione sostanziale senza ulteriori correttivi ritengo sia un atto doveroso, significa ripristinare uno strumento di civiltà del diritto; si potrebbe persino ripensare e rivisitare il vecchio modello del Codice Rocco che del resto ha dimostrato di essere tecnicamente affidabile per più di settant’anni.

Politicamente è balzato agli occhi il fatto che il Pd abbia votato contro l’odg perché in realtà hanno sostenuto - esso andava contro la riforma Cartabia. Non è paradossale che abbiano detto no al ritorno alla legge che portava il nome di un loro ex Ministro della Giustizia? C’è il sospetto che non riescano a sganciarsi dal Movimento 5 Stelle.

Mi pare non ci sia molto chiarezza negli obiettivi e nella rotta del Pd in materia di giustizia, e che si navighi a vista. Del resto chi non ha una propria politica criminale rischia sempre di farsela imporre dagli altri. È troppo tempo che il Partito democratico non esprime posizioni davvero autonome e sembra andare al traino di altri, senza peraltro comprendere che il cittadino sceglie l’originale e non l’imitazione. Dimentica altresì che la battaglia per le garanzie, i diritti e i principi costituzionali dovrebbe essere storicamente identitaria per un partito progressista, e che lasciarla ad altre parti politiche, visto che la sensibilità del Paese in tema di giustizia e garanzie fortunatamente è molto mutata, sarà il modo migliore per restare minoritari.

Al di là del merito dell'odg, non è uno stress test complicato per il sistema giustizia vedere mutare i riti ad ogni nuovo Governo?

Non c’è dubbio. Il sistema della giustizia penale, soprattutto le misure processuali e determinati istituti sono congegni di alta ingegneria che non andrebbero toccati ogni volta. Qualsiasi modifica produce delle ricadute concrete e spesso impatti devastanti sull’amministrazione della giustizia. Bisognerebbe garantire una stabilità. È però vero che scelte aberranti come quelle a cui cercano di porre rimedio Zanettin e Costa vanno eliminate. Queste due iniziative parlamentari rappresentano dunque due bagliori nel buio del populismo penale.

Con le prime dichiarazioni di Nordio, ci siamo lasciati alle spalle dunque la stagione del populismo penale o il decreto anti- rave contraddice questo auspicio?

Penso che bisogna mantenere l’ottimismo. Già il lessico che si sente da parte del ministro Nordio è del tutto congeniale non solo a determinati principi e valori costituzionali, ma altresì alle posizioni che incessantemente gli studiosi del diritto penale cercano di portare avanti. Per esempio si è ricominciato a parlare dopo anni di depenalizzazione, che era diventata una parola tabù; si è denunciata la mancanza di tassatività e determinatezza dei reati in molti settori, così come si sono denunciate coraggiosamente le aberrazioni dell’utilizzo delle intercettazioni telefoniche. Sono tutte premesse che lasciano sperare in un ritorno, almeno sulla carta, ad una maggiore sensibilità verso il diritto penale liberale e del giusto processo.