La vivisezione e la sperimentazione animale non sono sinonimi, o almeno non dovrebbero esserlo. Ma conta poco il termine che utilizziamo, dice il presidente della Lega anti Vivisezione (Lav) Gianluca Felicetti, se in Italia un animale su tre viene utilizzato senza anestesia. «Il numero di animali impiegati per la sperimentazione è in lieve diminuzione, ma secondo i dati ufficiali pubblicati dal ministero della Salute (per autocertificazione, e a nostro parere sottostimati), siamo oltre i 500mila – spiega al Dubbio Felicetti -. Quando si parla di “modelli animali” si è nell’ambito “pubblicitario”, in termini di impatto sull’opinione pubblica. Ma il risultato è che di quel mezzo milione di animali oltre 150mila sono utilizzati senza anestesia».

Quali sono le ragioni principali per cui l’associazione da lei presieduta si oppone alla sperimentazione animale?

Le argomentazioni sono principalmente due, e corrono parallelamente. Una riguarda l’aspetto tecnico-scientifico, cioè i metodi sostitutivi alla sperimentazione sugli animali che, se finanziati, praticati e sostenuti, possono rappresentare una realtà. Oggi anche chi è a favore della sperimentazione utilizza cosmetici non testati sugli animali, per norma europea, e lo fa in sicurezza. L’altro aspetto è di natura etica e morale: da questo punto di vista la tutela degli animali coincide con la tutela di chi, più o meno consapevolmente, diventa da essere umano una cavia. Perché la sperimentazione rappresenta solo uno dei passaggi di un’attività di ricerca che ha come destinatario finale l’essere umano, e noi riteniamo che la sofferenza di esseri viventi non sempre garantisca un risultato positivo per gli uomini.

Ma l’obiezione che normalmente pone la comunità scientifica è che il progresso ottenuto in campo medico grazie alla sperimentazione sia innegabile, e al momento irrinunciabile.

Ricordo quanto detto dal professor Pietro Croce, che è stato primario all’ospedale Sacco di Milano, quando ha preso pubblicamente posizione contro la sperimentazione animale. A suo parere, nella migliore delle ipotesi siamo nell’ambito della roulette russa. In via generale, fortuitamente, può rappresentare una strada che può incoraggiare a non abbandonare un’ipotesi di ricerca che poi può portare a un effettivo beneficio per l’uomo. Ma è assurdo definire scientifico un metodo che è per definizione empirico, perché ha milioni di variabili. Prendendo atto che su alcuni tipi di flagelli della nostra epoca, non abbiamo ancora risposte, come minimo questo metodo dovrebbe essere messo in discussione per permettere un’effettiva libertà di ricerca, che metta in competizione metodi sostitutivi e metodi di ricerca sugli animali dandogli stesse possibilità, mezzi e dignità. Magari lasciando libertà di scelta anche al paziente.

Anche nel caso dei vaccini?

Ovviamente il tema riguarda terapie preventive e curative. Ma ritengo, ad esempio, che nell’epoca dell’intelligenza artificiale e dell’innovazione tecnologica nel suo complesso, il fatto di far fare la mano ai chirurghi sugli animali sia davvero ottocentesco.

Tecnicamente qual è la differenza tra vivisezione e sperimentazione animale?

Noi come altri riteniamo che di fatto una differenza non ci sia. Anche se non si usa la sega elettrica, un intervento senza anestesia è una vivisezione, cioè un utilizzo in vivo di un essere vivente pienamente cosciente. La vivisezione in quanto tale non è stata mai abolita, a partire dalla legge che risale all’Italia degli anni 30-40. Ora è importante sapere quali siano i metodi sostitutivi e di quali finanziamenti godano, cioè poche briciole: un totale di 2milioni e 800mila euro in due anni, tra il 2021-22. Ecco perché noi chiediamo al governo e al Parlamento di rifinanziare, in vista della prossima Legge di bilancio, questo fondo gestito dal ministero della Salute, che possa essere anche aumentato e possa rappresentare un incentivo a nuovi metodi di ricerca.

Come funziona l’obiezione di coscienza per ricercatori e studenti?

La legge del ‘93, per vari motivi, è stata prima di fatto sconosciuta, poi con grandi difficoltà si è riusciti a diffonderla in ambiti universitari e centri di ricerca. La stessa legge prevedeva l’impiego di metodi sostitutivi nella didattica, ma è stata poco attuata: non si è riusciti a cogliere l’aspetto positivo dell’innovazione, seppure con delle eccezioni.

Dal punto di vista della normativa in materia, il punto di svolta è rappresentato dalla direttiva Ue del 2010 sulla protezione degli animali utilizzati in ambito scientifico, recepita in Italia nel 2014.

Non parlerei di una svolta, ma di un segnale importante da parte dell’Unione europea che sarebbe importante mettere in pratica. Si è costruita la strada dei comitati etici, che noi riteniamo “fantocci”, perché non vi è una terzietà e mancano le competenze necessarie per promuovere i metodi sostitutivi che potrebbero arricchire la ricerca.

Entro giugno 2025 invece dovrebbe entrare in vigore il divieto di sperimentazione animale per sostanze d’abuso e xenotrapianti.

È un’annosa vicenda, che si trascina da anni. Il decreto legislativo del 2014 con cui l’Italia ha recepito la direttiva Ue ha previsto alcuni piccoli stop a livello nazionale relativamente ad alcuni aspetti della sperimentazione. I ministri della Salute che si sono succeduti da allora hanno sempre prorogato la decisione relativa alle sostanze a gli xenotrapianti, e se la politica non dà una linea di indirizzo recependo le istanze dell’opinione pubblica, è evidente che una nuova proroga è scontata.

Nel 2004 invece è arrivata la legge 189 sul maltrattamento degli animali. La giudica una buona norma?

Nel 2004 ha rappresentato un grande passo in avanti. Fino ad allora “l'uccisione senza necessità” era una semplice contravvenzione. Ora i reati contro gli animali sono sempre più segnalati. Ma siamo ancora a metà dell’opera. In queste settimane la commissione Giustizia della Camera ha all’ordine del giorno proprio la revisione delle norme penali contro il maltrattamento e l’uccisione degli animali. Ci sono importanti proposte sul tavolo, tra cui il nostro contributo di idee. La novità di questo iter è anche nell’adeguamento del codice civile, che colpevolmente ancora identifica gli animali come bene mobile.

Nonostante siano ormai bene costituzionalmente protetto?

Esatto. Ora vogliamo che la tutela degli animali entri nella serie A della considerazione giuridica.

Che pensa della cosiddetta carne coltivata, che in Italia il governo intende vietare?

Noi siamo favorevoli allo sviluppo di prodotti animali derivanti da colture cellulari. E come sa anche il ministro Lollobrigida, il divieto non potrà essere messo in atto in forza di un regolamento Ue che prevede un regolamento sovranazionale a garanzia della sanità e della salubrità degli alimenti innovativi. L’Italia rischia di perdere il treno dell’innovazione.