Caro Direttore, c’è il pericolo che l’emergenza sanitaria, che ha già messo in ginocchio l’economia globale e cambiato irrimediabilmente le nostre vite, nelle carceri “finisca in una calamità grave”- per dirla con Papa Francesco. Un argomento scomodo, nei confronti del quale la politica ha assunto, specialmente in questo momento, un atteggiamento troppo timido, spesso inconsapevole, a volte reticente.

Nonostante si siano verificati i primi contagi e decessi – e temo ce ne saranno altri – c’è chi ha sostenuto che con il virus che circola nel mondo, “in carcere si è più sicuri che fuori”, facendo eco al ministro della Giustizia che circa un paio di settimane fa sosteneva che fosse tutto sotto controllo.

E’ utile ricordare che lo Stato ha il dovere, dettato dalla Costituzione, di tutelare la salute pubblica e che questo dovere è ancora più forte nei confronti di chi, privo della propria libertà, è sotto la custodia dello Stato stesso.

Domando: come è possibile assicurare il distanziamento sociale in luoghi come le carceri, in cui ci sono 61.230 detenuti a fronte di una capienza di 50.931 ( e di questi, tra l’altro, un terzo in attesa di giudizio)? Come si fa ad allargare le braccia sapendo che il 70% dei detenuti ha disturbi psicologici, che ci sono casi di soggetti sieropositivi all’Hiv o colpiti da epatite C e tubercolosi e che, dunque, la questione sanitaria nelle carceri era già di per sé fragile prima e ora rischia di scoppiare?

Come si può, ancora, voltarsi dall’altra parte quando si realizza, senza ipocrisia, che le carceri oggi sono delle autentiche polveriere in cui un solo contagio, in un contesto in cui si è stretti come le sardine e si condivide lo stesso gabinetto, può far esplodere una bomba sanitaria pericolosissima? Insomma, la vita di un detenuto vale meno dei quella di un cittadino libero?

La bomba va disinnescata senza perdere altro tempo. Il centrosinistra dovrebbe chiedere al Ministro Bonafede di farsi da parte, perché la responsabilità della gestione penitenziaria possa essere assunta, da subito e fino a fine emergenza, dalla Presidenza del Consiglio. Noi avevamo chiesto a Conte, con una lettera accorata già di qualche settimane fa, di emanare un decreto legge, per ragioni di urgenza, per concedere la detenzione domiciliare immediata a detenuti non socialmente pericolosi, non recidivi e che non si sono macchiati di reati gravi.

Sarebbe non un atto di debolezza dello Stato, non un cedimento ad un presunto ricatto, ma al contrario un atto fondamentale di salvaguardia della salute pubblica.

Siamo il Paese dove, per far sentire la propria voce, i detenuti devono pagare con la propria vita l’azione, certo sbagliata, di una sommossa senza precedenti. E dove una forza politica di maggioranza, come quella che rappresento, continua a rimanere inascoltata da anni sul tema.

Non ci vorranno costringere allo sciopero della fame?

Anche quello è un gesto che, per dargli un senso, bisogna saper fare. Pannella, ci manchi.

* segretario nazionale Psi