La rete non deve essere considerata uno spazio in cui “corsari” di vario tipo si muovono indisturbati. Norme chiare e regolamentazione coerente con i cambiamenti tecnologi e sociali sono fondamentali per evitare degenerazioni. Il professor Salvatore Sica, ordinario di Diritto privato nell’Università di Salerno, riflette con il Dubbio anche sugli ultimi fatti di cronaca. «La stagione del “nessuno tocchi la rete” credo che sia ampiamente da mettere alle nostre spalle», commenta l’accademico.

Professor Sica, l’ambito in cui si muovono gli influencer è una giungla? Va regolamentato?

Non c’è ombra di dubbio e gli interventi devono riguardare non soltanto gli influencer. È giunto il tempo che tutta la rete abbia una regolamentazione. La stagione del “nessuno tocchi la rete” credo che sia ampiamente da mettere alle nostre spalle. I fatti hanno dimostrato con una accelerazione anche improvvisa che la rete non può essere considerata una zona franca dal diritto. Occorre una delicatezza degli interventi. Non si può mettere in discussione la libertà fondamentale coincidente con la manifestazione del pensiero. Non c’è libertà, però, che non si debba fermare di fronte ai diritti inviolabili e preminenti della persona umana.

Nelle ultime settimane abbiamo assistito a diversi episodi, con risvolti giudiziari, in cui la presenza di alcuni influencer è stato dominante. I social sono diventati il luogo più importante di discussione e di determinazione delle nostre scelte?

Su questo punto, la mia opinione è nota da tempo. I social, nati come interessante arena virtuale, hanno fatto segnare una espansione con due caratteristiche che considero assolutamente negative. La diminuzione dei contatti umani personali e l’amplificazione delle potenzialità espressive di soggetti che nella realtà ordinaria non avrebbero competenza, correttezza o etica per poter manifestare le proprie opinioni. C’è poi un ulteriore aspetto negativo.

A cosa si riferisce?

Il riferimento è a una sorta di senso, per un verso, di onnipotenza di fronte alla tastiera, per un altro, di impunità connessa a un ancora troppo esteso schermo dell’anonimato.

L’Agcom ha previsto un tavolo tecnico per definire delle misure in merito al rispetto delle previsioni del Testo unico da parte degli influencer. È un primo passo per una regolamentazione della materia?

È un passaggio fondamentale. Dal punto di vista del metodo è corretto arrivare ad una disciplina che tenga conto delle esperienze in atto che sia preceduta da una interlocuzione di categoria. Da un punto di vista del contenuto, l’idea di base che sembra emergere, vale a dire l’applicazione del Tusma (Testo unico dei servizi dei media audiovisivi e radiofonici, ndr) anche agli influencer, è da privilegiare. In altre parole, l’equiparazione tra influencer ed editore è frutto di una corretta intuizione. Sembra, inoltre, convincente la scelta compiuta di agganciare le due nozioni alla presenza di determinati requisiti “quantitativi”, soprattutto la necessità di almeno 1 milione di follower, perché la nozione di editore va riconnessa a requisiti indefettibili di professionalità e imprenditorialità. Magari, si può discutere se determinati requisiti siano sufficienti, ma al fine eseguito dall’Agcom, cioè l’applicazione della disciplina sulla editoria, la fissazione di un tetto così ampio conferma l’idea che non c’è un intento di creare una censura. Si vuole, invece, richiamare alle proprie responsabilità chi non si diverte a rendere opinioni in libertà, ma esercita professionalmente l’attività di divulgazione di opinioni. Resta fermo che chi si trova al di sotto della soglia prevista non è collocato in una comfort zone ed è esente da responsabilità, perché ci sono altre discipline evocabili. Mi riferisco, innanzitutto, a quella sulla protezione dei dati personali con la relativa responsabilità aggravata prevista dal Gdpr.

L’Italia, con una serie di interventi previsti, si sta allineando rispetto a quanto chiede l’Europa?

Il nostro Paese si pone in linea con la tendenza europea.

Ci volevano degli episodi, anche molto tristi, per indurre il legislatore e gli esperti ad intervenire?

Questo è un tema ormai tradizionale quando ci si occupa di diritto e tecnologia, nel senso che la realtà è troppo più veloce della capacità di previsione del legislatore che normalmente è chiamato rincorrere. È l’ennesimo caso di intervento del legislatore, magari tardivo, ma pur sempre opportuno.

Quanto sta accadendo offre spunti di riflessione pure in materia di Intelligenza Artificiale?

Si tratta di un argomento sul quale dobbiamo attendere la versione ufficiale del Regolamento europeo. Sembra che ci si stia muovendo nella stessa prospettiva, che è quella della responsabilizzazione. Come ho avuto già modo di chiarire, i punti nodali sono tre. Il primo si riferisce all’IA che viola il diritto d’autore, soprattutto in fase di accumulo dei contenuti. Il secondo: l’IA produce un outfit, un prodotto finale, che in qualche maniera altera la correttezza dell’informazione, mediante fake news. Infine, il terzo punto si riferisce alla Intelligenza Artificiale che nella propria attività, non importa in quale fase, viola in tutto o in parte la disciplina della protezione dei dati personali. In tutti e tre gli ambiti occorre una interazione delle discipline e una collaborazione virtuosa delle autorità competenti per materia. Sarebbe molto grave se si innescasse una competizione tra autorità diretta a garantirsi esclusive di regolazione e di controllo. Lo stato della legislazione impone una cooperazione tra soggetti pubblici coinvolti.