Un anno fa, con l’uccisione della giovane Mahsa Amini, la gioventù iraniana ha dimostrato grande coraggio e voglia di cambiamento. La strada, però, è ancora lunga e sarà preziosa la collaborazione anche della comunità internazionale. «Siamo passati – dice al Dubbio Pejan Abdolmohammadi, iraniano, professore di Relazioni internazionali del Medio Oriente nell’Università di Trento - da una fase di resilienza ad una fase di resistenza di gran parte della società iraniana, che subisce il mancato rispetto dei diritti fondamentali. I giovani sono la speranza dell’Iran».

Professor Abdolmohammadi, a un anno dalla morte di Mahsa Amini cosa è cambiato in Iran?

È cambiato quasi tutto, nel senso che ormai la società iraniana, nella sua interezza, ha superato i codici etici, morali e anche culturali della Repubblica Islamica. Siamo di fronte ad una polarizzazione completa tra quella che è la società iraniana e quella che è la Repubblica Islamica. Quest’ultima è riuscita, come accade nei sistemi autoritari che si avvalgono della forza e della violenza, a reprimere nel sangue le rivolte iniziate un anno fa che hanno visto protagonisti sia i giovani che i meno giovani scesi in piazza. Da questo punto di vista, purtroppo, la repressione ha sortito degli effetti. Va pure detto che non è stata fermata una resistenza, che, comunque, sta entrando nella sua seconda fase. Siamo passati, infatti, da una fase di resilienza ad una fase di resistenza di gran parte della società iraniana, che subisce il mancato rispetto dei diritti fondamentali. La Repubblica Islamica, dopo l’uccisione di Mahsa Amini, non ha cambiato il proprio atteggiamento. Più si sente in pericolo per le proteste dei cittadini, più è intenta a violare i diritti fondamentali.

Quali notizie le giungono direttamente dal suo paese?

Alcune notizie sono confortanti, nel senso che il fuoco della libertà tra i cittadini è vivo. Si attendono altre occasioni per manifestare il dissenso. Preoccupa, per altro verso, il controllo sociale opprimente esercitato dalla Repubblica Islamica nei confronti dei prigionieri politici, tantissimi sono giovani, senza tralasciare le condanne all’impiccagione che vengono eseguite e che verranno eseguite in futuro. Oltre alla situazione interna, non è confortante l’atteggiamento delle Nazione Unite.

Manca la giusta attenzione della comunità internazionale verso l’Iran?

Le Nazioni Unite avevano dato vita ad una commissione ad hoc sui diritti umani per verificare eventuali crimini contro l’umanità. Tale commissione è stata bloccata negli scorsi mesi nel silenzio totale della comunità internazionale. Dai primi mesi di quest’anno una parte del mondo cosiddetto democratico, con il centrosinistra mondiale, a partire dalla presidenza Biden per arrivare alla Commissione europea, con Joseph Borrell, ha riaperto la trattativa con la Repubblica Islamica. Non è un caso che dallo scorso mese di marzo si sia affievolita l’attenzione nei confronti dell’Iran. Inoltre, c’è stata l’imbarazzante mossa dello sblocco di 6 miliardi di dollari dei fondi pubblici iraniani, sequestrati dagli Stati Uniti e risalenti all’epoca dello Scià. Questi fondi nazionali stanno ritornando nelle mani della Repubblica Islamica proprio nei giorni dell’anniversario dell’uccisione di Mahsa per ottenere la liberazione di cinque prigionieri iraniano-americani. Possiamo notare il doppio standard che viene applicato e la decadenza della nostra civiltà occidentale. Da un lato c’è il tentativo di promuovere i diritti umani, dall’altro, quando si tratta di realpolitik, vengono premiati i principali aggressori dei diritti umani. In questo caso Teheran, ma si potrebbe trattare anche di Riad, Doha o altre realtà.

In questo modo si fanno un passo avanti e due indietro. Una contraddizione di non poco conto?

Proprio così. Da un punto di vista tattico assistiamo ad un modo di agire miope. In questo quadro politico e geopolitico la società iraniana rappresenta il principale alleato del mondo democratico e libero in Occidente e non solo, se consideriamo pure il Giappone e la Corea del Sud. La società iraniana è quella più laica, più propensa alla democrazia e alla libertà. Lo ha dimostrato con chiarezza in questo ultimo anno. Un nuovo Iran potrebbe nascere con il superamento della Repubblica Islamica, non con riforme sterili proposte da tanti intellettuali che fanno le loro analisi dall’estero, e con l’impegno diretto dei giovani. Il nuovo Iran sarebbe il motore del processo di democratizzazione del Medio Oriente. Il sostegno degli autocrati, che usano l’Islam come ideologia politica, è controproducente anche per l’Europa.

Tanti giovani iraniani sono in prigione, dopo la morte di Mahsa Amini. La Repubblica Islamica ha colpito al cuore il processo riformatore?

La gioventù iraniana rappresenta il 75% della popolazione. Mi riferisco alla fascia di età inferiore ai 40 anni. Parliamo di una generazione moderna con idee progressiste, che non vuole più accettare l’ingerenza della religione nella vita privata e che ha mostrato al mondo un coraggio esemplare nel lottare per la libertà. Quando imprigioni, uccidi, ferisci gravemente i giovani, non dimentichiamo che viene usata la tecnica di accecare le persone, ti rendi protagonista di crimini contro l’umanità che le Nazioni Unite devono accertare. Spiace constatare però che questo lavoro di verifica e di indagine non si stia facendo.

Il mondo multipolare ha portato inevitabilmente ad un allontanamento della Russia, che ha attratto diversi Stati, compreso l’Iran, non certo campioni di democrazia. È un problema serio?

Sì, anche questo è un problema serio. Si sta creando una coalizione, con i Brics in prima fila, un vero e proprio club di autocrazie e di totalitarismi. Un quadro sicuramente preoccupante. Proprio per questo la parte del mondo rappresentata dalle democrazie, che diventa sempre meno presente, deve farsi sentire. C’è bisogno di utilizzare gli strumenti che con molta fatica sono stati acquisiti dalla nostra civiltà per tutelare i diritti umani. Se ci facciamo influenzare da paesi che violano i diritti umani e che diventano membri importanti di alcuni consessi internazionali, è chiaro che le contraddizioni e i problemi emergeranno con dirompenza. Si è sviluppata una élite intellettuale che negli ultimi anni ha molto propagandato l’idea del relativismo del diritto. E quando si parla dei diritti fondamentali, il relativismo del diritto provoca danni enormi in quanto si cerca di abbuonare una serie di comportamenti che vanno contro i principi umani. I diritti fondamentali appartengono a tutti e sono universali. Su questo c’è bisogno di coraggio. Se mostriamo timidezza, ci troveremo di fronte ad una loro sistematica violazione.