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Avvocatura decisiva per riportare fra i cittadini la fiducia nella giustizia
Chi si occupa delle professioni, chi si occupa delle migliaia di giovani avvocati che ogni giorno hanno a che fare con pubbliche amministrazioni preoccupate di risparmiare solo sulle spese di giudizio? Chi conosce il disagio dei legali in convenzione con banche o assicurazioni che non riconoscono, non vogliono riconoscere – come prevede il testo della legge sull’equo compenso – la “corresponsione di un compenso davvero proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale”? In questo ultimo anno il Dubbio ha attraversato l’Italia dal Sud al Nord, un lungo e approfondito viaggio tra i Coa – veri e propri centri vitali dell’avvocatura italiana – che ci ha permesso di toccare con mano la carne viva della professione: le aspirazioni e le speranze, ma anche i timori e le fragilità. Abbiamo incontrato la passione e l’orgoglio di chi vede in quella toga un simbolo e un presidio di libertà e di democrazia, e abbiamo trovato ancora una volta prova del fatto che l’avvocatura non è una professione qualsiasi: chi indossa quella toga incarna davvero i diritti di ognuno di noi, ed è per questo che la politica ha il dovere di farsi carico della tutela della sua dignità. E così, chi in queste ore sta affossando l’equo compenso, o semplicemente non sta facendo nulla per salvarlo, di fatto sta mettendo a rischio la tutela dei diritti. Qualcuno potrebbe pensare che il tema dell’equo compenso sia soltanto un problema di ordine economico. Non è così, dietro un compenso equo c’è il riconoscimento della centralità dei nostri professionisti che non sono un costo, uno spreco, ma una risorsa, una riserva democratica che la politica ha il dovere di tutelare. Per questo noi, alla vigilia delle elezioni, chiediamo: chi si occupa degli avvocati? È un tema che riguarda l’intero sistema giustizia e che la politica farebbe bene ad affrontare prima di trovare brutte sorprese nelle urne.