E‘difficile essere Matteo Renzi: oggi più che mai. E’ difficile perchè devi impegnarti a far credere quello che è inverosimile e a difendere ciò che è indifendibile. Un esempio? Devi far credere che è tutta colpa di Paolo Gentiloni, del fatto che il suo governo, nato per restare in piedi una manciata di settimane, è durato un anno. Periodo che è risultato «un clamoroso assist» a grillini e centrodestra, consentendo loro di spiccare il volo. Per cui se si fosse andati alle urne a giugno o al massimo a settembre il Pd sarebbe prima schizzato in alto nei sondaggi e avrebbe poi fatto incetta di voti nei seggi. Invece succede l’opposto e la colpa è del fatto che il Nazareno deve difendere il governo.

Anche se poi il consenso su Renzi, per ammissione di Matteo medesimo, cala nel periodo stesso in cui «è salito il grafico della fiducia, del Pil, degli investimenti». Ci sarà mica un nesso? Anche se poi l’intera campagna elettorale è centrata sui successi ottenuti da palazzo Chigi: job act; riforma del pubblico impiego; 80 euro; riduzione delle tasse. Il dettaglio è che quelle cose sono arrivate quando a suonare il campanello d’inizio lavori del Consiglio dei ministri c’era Mat- teo, non Paolo. Oppure Delrio, Franceschini, Minniti e compagnia cantando: chiaro, no? Un altro esempio. La Commissione sulle banche è stata varata «per aiutare le guardie di domani a fare meglio il loro lavoro». Un’iniziativa, insomma, i cui risultati benefici, più che adesso, «si vedranno tra dieci anni». Giusto. Ma che succede se dieci giorni dopo le elezioni il Pd finisce sotto il 20 per cento e si liquefa? La lungimiranza è un merito: a patto che non diventi fuga nel futuro.

Tuttavia c’è anche un’altra faccia della medaglia. Per cui essere Matteo Renzi diventa non complicato bensì assolutamente imbrobo: per non dire ingrato. La faccia per cui non ti viene più perdonato nulla, compreso - anzi paradossalmente: a partire da - ciò di cui non porti responsabilità; e per giustificare tale atteggiamento liquidatorio amici e nemici ricorrono alle categorie della personalità e del carattere tralasciando quelle della politica. Si può sommessamente ricordare Sandro Pertini che diceva: «Ogni uomo di carattere ha un cattivo carattere?» . La cosa diventa poi particolarmente urticante se raffrontata all’atteggiamento nei riguardi dei tuoi competitor ai quali, al contrario, non si chiede conto di nulla. Per cui può succedere che Luigi Di Maio prenda di petto le pensioni sparando cifre inattendibili; dica di voler cercare intese in Parlamento e contemporaneamente rifiuti di stare in tv con Salvini; faccia il giro del mondo per accreditarsi come credibile uomo di governo e poi assicuri di essere pronto a votare l’uscita dell’Italia dalla Ue. E tuttavia simili affermazioni non sollevino scandalo più di tanto. Al massimo un’alzata di spalle e un ammiccamento del tipo: vabbé, è Di Maio che lo dice...

Per non parlare di Silvio Berlusconi. E’ stato il più fiero alfiere dell’antipolitica avendone fatto la sua bandiera per decenni; è unanimemente considerato l’uomo che ha introdotto il bipolarismo in Italia sfruttando al meglio il sistema maggioritario; ha tuonato contro Germania e Francia colpevoli di aver ordito un complotto per sfrattarlo da palazzo Chigi. Ebbene oggi, con un giro di piroetta da capolavoro, è diventato il perno della moderazione e della governabilità nonchè tenace e compassato difensore delle istituzioni; nume tutelare del sistema proporzionale; icona della coesione del Ppe e della leadership europea della signora Merkel. Qualcuno s’indigna? Vabbè, i soliti noti. Ma in realtà stanno tutti lì a vedere come finisce, qualcuno dentro di sè pregando che l’ex Cav riesca nel compito di arginare i barbari grillini che vogliono espugnare la cittadella del potere. Invece con Renzi la musica è opposta. Non passa giorno che non ci sia chi gli rimprovera di voler comandare da solo infischiandosene di regole e ruoli; che non alzi il dito per ricordagli che è un abusivo visto che aveva detto di abbandonare la politica in caso di sconfitta al referendum; che non gli lanci l’anatema di aver voluto un sistema elettorale che è un suicidio; che non gli spieghi come e qualmente gli 80 euro sono stati nient’altro che una mancia di voluta dissipazione di denaro pubblico e i suoi posti di lavoro sostanzialmente un bluff. La realtà è che diventa tutto tremendamente arduo, una montagna troppo alta da scalare, quando il sentiment nei tuoi confronti dentro e fuori il Palazzo ha cambiato segno, rivolgendosi nell’opposto. Per cui in tanti, troppi, giudicano che essere Renzi non è più un atout bensì una zavorra.

La verità è che quando scivoli dalla collina del potere c’è un esercito pronto ad agevolare la caduta. E dunque nessuna sorpresa se all’ex premier vengono fatti pagare tutti i prezzi possibili e nessuno sconto è praticato: sarà anche un esercizio consolatorio, però è efficace. Vero è che in parecchi tagliano corto: tanta acrimonia Matteo se l’è cercata, e ben gli sta. Magari hanno anche ragione. Ma è proprio in frangenti simili che la realtà finisce per rovesciarsi, e allora essere Matteo Renzi diventa un belluino grido di battaglia. Quello del condottiero che sprona il esercito e scuote i tentennanti: io sono quel che sono, ma siete sicuri che gli altri siano meglio? Può essere che funzioni. Tanto, cos’hai da perdere?