Non bastavano i guai con la Russia e i sondaggi poco lusinghieri, ora Matteo Salvini resta pure col cerino in mano dei referendum.

Il fallimento dei quesiti, infatti, porta una sola firma e un solo volto: quello del leader della Lega, l’unico esponente politico di peso, gli va dato atto, ad aver lanciato il cuore oltre l’ostacolo nella battaglia per una “giustizia più giusta”.

Ma il cuore, in certe imprese, non basta, serve informazione e credibilità. Se la prima è mancata totalmente sui media italiani non certo per colpa di Salvini, la seconda invece è una lacuna tutta attribuibile al capo leghista. Non si può infatti sventolare in faccia ai cittadini la bandiera del garantismo con una mano e impugnare una forca nell’altra, pretendendo di apparire credibili. E il Carroccio resta una forza contradditoria, pronta nei giorni pari a chiedere di “buttare via la chiave” per qualsiasi ladro di polli e nei giorni dispari eccola in piazza a raccogliere le firme insieme ai Radicali per chiedere un limite alla custodia cautelare.

Va bene dunque il colpevole silenzio dei mezzi d’informazione, ma sul flop referendario ha pesato anche la scarsa credibilità dei proponenti. Perché quello di Salvini è sembrata solo l’ennesimo tentativo di distinguersi dal governo di cui fa parte puntando su una battaglia a caso pur di fare un po’ di casino. Il risultato è un disastro, l’ennesimo, che ricadrà sul futuro politico dell’aspirante leader del centrodestra.