Stamattina il Senato discuterà e voterà le mozioni sulla Tav. Sulla carta dovrebbe trattarsi di una delle mine più pericolose incontrate sinora dal governo. Le opposizioni avrebbero in mano una carta facile se non per far cadere sicuramente il governo, almeno per aprire allargare una lacerazione già profonda sino a renderla irrecuperabile. Basterebbe che il Pd e Fi, prima di votare a favore delle proprie mozioni pro Tav, non partecipassero al voto sulla prima che verrà messa ai voti, quella dell'M5S che impegna il parlamento, ma non il governo, a fermare l'opera.

E' vero che per il Pd sarebbe difficile non bocciare una mozione anti Tav, ma proprio la scappatoia cercata dai 5S per evitare una possibile crisi, la scelta di impegnare non il governo ma il Parlamento, ridurrebbe di moltissimo il danno.

Nonostante Di Maio provi a dire il contrario, il Parlamento non ha voce in capitolo sulla disdetta di un accordo internazionale, a meno che non sia il governo a proporre alle camere la disdetta. Il governo non sarebbe comunque impegnato a farlo, ma anche se si muovesse in quel senso il parlamento dovrebbe esprimersi di nuovo con un voto stavolta decisivo e per i partiti pro Tav sarebbe facilissimo negare il voto favorevole alla cancellazione dell'opera.

Dal punto di vista dei lavori sulla tratta Torino- Lione, se Pd e Fi facessero passare la mozione dei 5S non cambierebbe nulla. Per i rapporti di maggioranza, invece, quell'esito sarebbe devastante. Salvini ha già avvertito che ' ne trarrebbe le conseguenze'.

Il pd non ci crede, è convinto che anche in quel caso la maggioranza troverebbe un modo per evitare la crisi. Probabilmente ha ragione ma l'equilibrio già più precario tra i soci di governo finirebbe irrimediabilmente distrutto. Sulla carta, quindi, per un partito, anzi per due partiti di opposizione, che da mesi parlano dell'urgenza di far cadere il governo, non ci dovrebbe essere dubbio sul che fare.

Invece né il partito di Zingaretti né quello di Berlusconi proveranno ad affondare la lama. Voteranno disciplinatamente contro la mozione dei 5S e a quel punto la paura per il governo sarà passata. Non solo per il governo e per i partiti che lo sostengono però. Quel che quest'ultimo scorcio di attività politica prima della pausa estiva ha infatti reso chiaro è proprio che la paura della crisi è la vera bussola che orienta tutti: l'opposizione non meno della maggioranza.

La resa dei 5S ' dissidenti' sul dl Sicurezza è stata molto simile a una sgangherata rotta, con uno dei più critici, il senatore Airola, pronto a declamare in aula che ' questo dl non è mica l'anticristo', prima di votarlo. Il dl può piacere o non piacere alla sinistra pentastellata.

Ma il rischio di votare piace anche meno. La stessa paura detterà legge anche oggi. Fi, ridotta in brandelli, non ha alcuna intenzione di fra certificare agli elettori la sua scomparsa. Il Pd, lacerato dall'eterna guerra civile, preferisce rinviare un appuntamento che potrebbe squassare definitivamente un partito già in ginocchio. Dunque la crisi, anziché ricercata come da dichiarazioni ufficiali, va evitata e impedita. Al Senato, stamattina, non ci sarà alcuna suspence.

Anche Salvini teme il voto, sia pure per motivi molto diversi da quelli di tutti gli altri. Ma la teme meno degli altri, perché comunque uscirebbe dalle elezioni vincente e un governo di tutti gli altri finirebbe probabilmente per rafforzarlo ulteriormente. La paura di votare è dunque l'arma che gli permette di fare il bello e il cattivo tempo in Parlamento. I fatti, più eloquenti e sinceri delle parole, si sono incaricati di dimostrarlo col voto sul dl Sicurezza e, salvo molto improbabili soprese, lo confermeranno oggi.

La lama è però a doppio taglio. Proprio perché per tutti l'obiettivo principale è al momento evitare le elezioni, una crisi di governo, quella che inevitabilmente prima o poi arriverà, potrebbe portare non alle elezioni su cui punta i leader leghista ma a una delle tante formule che l'inesauribile fantasia dei politici italiani sa partorire per evitare le urne. E' un rischio reale e Salvini sa di correrlo. Ma per ora la paura di votare gli consegna le redini della politica italiana. Poi, si vedrà.