È iniziato il 1° marzo il corso di scrittura giuridica organizzato dalla Scuola superiore dell’avvocatura (fondazione del Consiglio nazionale forense). Nei quattro incontri programmati (gli ultimi due si terranno il 5 e l’8 aprile), avvocati, professori universitari e magistrati saranno impegnati a illustrare le tecniche per essere chiari e convincenti negli scritti, senza tralasciare i cambiamenti ai quali stiamo andando incontro, con la presenza sempre più rilevante dell’Intelligenza artificiale. L’avvocata Paola Carello, consigliera del Cnf e coordinatrice scientifica del corso, sottolinea l’importanza dell’iniziativa di via del Governo Vecchio, che ha riscosso un immediato successo: i trecento posti disponibili sono andati esauriti in neanche 48 ore dall’apertura delle iscrizioni.

Avvocata Carello, quali sono le caratteristiche principali del corso di scrittura giuridica della Scuola superiore dell’avvocatura?

Il tema è di grande interesse da diversi anni e il corso rientra nell’ambito delle attività di formazione, aggiornamento e orientamento in favore di iscritti e iscritte agli albi. È stata una delle primissime iniziative deliberate dal nuovo Consiglio direttivo, che si è insediato nell’estate dello scorso anno e vuole operare nel solco della prestigiosa tradizione formativa della Scuola superiore dell’avvocatura. Il corso di alta formazione, organizzato d’intesa con il Consiglio nazionale forense, è stato articolato in quattro incontri con interventi di giuristi e linguisti, chiamati a confrontarsi su scrittura, linguaggio, comunicazione, novità normative. L’adesione è stata superiore alle aspettative, abbiamo dovuto ampliare il numero dei partecipanti, anche per l’attualità del tema, in seguito all’introduzione del Decreto ministeriale 110 del 2023, che ha fissato i limiti redazionali degli atti giudiziari civili.

A ciascun avvocato sono richieste doti anche nella scrittura. La chiarezza negli scritti rende l’avvocato più credibile?

Sono doti indispensabili per qualsiasi giurista. Nelle nostre università lo studio del diritto è quasi esclusivamente orale, a differenza di quanto accade in Nord America, dove i corsi di legal writing insegnano presto e bene i segreti di un’efficace comunicazione scritta. I ragazzi che frequentano i nostri dipartimenti giuridici hanno posato la penna al termine degli studi superiori e la riprendono solo al momento della predisposizione della tesi di laurea. Dopo, se intraprendono la pratica forense, sono chiamati a predisporre pareri o atti senza conoscere le regole fondamentali della scrittura giuridica. Questa scarsissima attenzione prestata all’educazione alla scrittura e alla composizione dei testi oggi è dannosa e anacronistica. Siamo tutti consapevoli che il diritto è fatto di lingua e che la scrittura è per l’avvocato uno straordinario e indispensabile strumento di lavoro.

Spesso si pensa che negli scritti giuridici la quantità delle parole sia una caratteristica positiva. È vero il contrario?

Il professor De Mauro ha evidenziato che per stendere la nostra Costituzione sono stati utilizzati 1.357 vocaboli, dei quali 1.002 appartengono al vocabolario di base italiano: questi 1.002 vocaboli hanno occupato il 92,13 per cento del testo, con una lunghezza media per frase inferiore alle 20 parole. Un testo semplice, scritto con parole semplici e nella struttura più semplice possibile, è la carta fondamentale della nostra Repubblica. Comprensibile per tutti, anche per i ragazzi che la studiano a scuola e ne intendono l’importanza. Il linguaggio giuridico è certamente tecnico, ma non è oscuro, né barocco, né tantomeno prolisso. Anche nella complessità del diritto, il bravo giurista sa scegliere quanto è superfluo e quanto necessario, e sa differenziare ciò che è mero barocchismo da ciò che ha invece una precisa funzione semantica o testuale.

Doti oratorie e di scrittura non possono, dunque, che andare a braccetto, nella professione di avvocato.

Entrambe sono fondamentali per garantire all’assistito la migliore difesa possibile. Lo scopo dell’avvocato è quello di persuadere della fondatezza di quanto sostiene, e linguisti e comunicatori ripetono che chiarezza, concisione e sinteticità sono alleati indispensabili per farsi comprendere. Oggi l’evoluzione tecnologica incide molto nello svolgimento dell’attività giudiziaria, e sono frequenti le udienze tenute con il deposito di note scritte in sostituzione della presenza fisica dei legali. Ciò che prima veniva discusso oralmente oggi viene trattato con atti scritti. Di qui la maggiore esigenza di imparare le regole di una comunicazione chiara, appropriata, efficace con chi è chiamato a valutare le tesi esposte, appunto, nello scritto.

Un linguaggio chiaro è importante anche per avvicinare la figura dell’avvocato ai cittadini?

Lo avvicina innanzi tutto agli assistiti. L’avvocato ha precisi obblighi deontologici di informazione nei confronti di colui che gli si è affidato, e che deve conoscere e comprendere quanto viene fatto nei suoi interessi. La lealtà verso il cliente è un valore fondamentale per l’avvocatura, e viene realizzata anche attraverso una comunicazione chiara. Poi non dimentichiamo che informatica e internet, nella loro dirompente accelerazione degli ultimi decenni, hanno diffuso l’idea di una conoscenza quasi infinita alla portata di tutti. Abbiamo oggi banche-dati giuridiche a cui chiunque può accedere gratuitamente. Questa generalizzata e illusoria idea di facile comprensione del testo giuridico genera spesso confusione e facili pregiudizi, che vanno contrastati. Ma possiamo andare oltre. L’archiviazione di un linguaggio oscuro, verboso e poco comprensibile aiuta tutta la comunità. Perché garantisce la conoscenza dei diritti, consente di comprendere meglio le ragioni delle decisioni giudiziarie e diffonde nella collettività la consapevolezza dell’importanza del diritto nell’organizzazione di una società democratica.