La battaglia politica che è aperta attorno al referendum si sta spostando sul terreno della riforma elettorale. E' logico che sia così, dal momento che i veri oggetti del contendere, in questa battaglia, sono due: il destino del governo Renzi e le caratteristiche della nuova legge elettorale. Sebbene tutti si mostrino indignati - o, viceversa, entusiasti - per la modifica alla Costituzione e per il ridimensionamento del Senato, la verità è che di questo argomento non importa nulla quasi a nessuno. La modifica alla Costituzione è piuttosto marginale e non snatura di certo l'impianto della nostra democrazia. Sebbene l'Anpi si stia battendo all'arma bianca, sostenendo che la difesa dei valori della Resistenza imponga la difesa del Senato elettivo e del bicameralismo.Nessuno però crede davvero che i partigiani salirono sulle montagne e spararono ai tedeschi e ai fascisti per impedire il monocameralismo.Tuttavia questa specie di finzione (che è bilaterale, dal momento che nessuno può credere neppure ai sostenitori del sì, i quali sostengono che finalmente in questo modo si sblocca la democrazia italiana, e che per di più si ottiene un enorme risparmio di soldi pubblici, cioè circa 10 euro all'anno per ciascun elettore...), questa finzione, dicevamo, nasconde una questione politica che è molto grande e che consiste, appunto, nelle prospettive politiche che una nuova legge elettorale può aprire. La scelta tra i vari sistemi elettorali (nessuno dei quali, diciamolo con franchezza, viola i principi della democrazia) è una scelta tra diversi sistemi politici e può produrre assetti politici molto diversi.Si parte da una situazione assai complessa, che è quella del tripartitismo, o tripolarismo, che negli ultimi tre o quattro anni si è prodotto in Italia, modificando profondamente la situazione precedente che era, sostanzialmente, bipolare. E' chiaro che un sistema maggioritario che può funzionare molto bene in un regime bipolare può essere invece un pessimo sistema in un regime tripolare. Ed è anche evidente che un sistema che garantisce la definizione di un vincitore "forte" e garantisce a questo vincitore la possibilità di governare, non necessariamente rispetta la necessità di una rappresentatività piena. Con un assetto bipolare, o biparititco, un premio di maggioranza si limita a modificare leggermente i rapporti di forza tra due schieramenti di solito pressoché equivalenti in forza elettorale. Con un assetto nettamente tripolare, invece, un premio di maggioranza molto forte può sconvolgere il rapporto tra voto popolare e seggi elettorali. Nel senso che un voto per il partito vincente può valere più del doppio di un voto per un partito perdente, e di conseguenza può (con molta probabilità) essere eletto un Parlamento nel quale la maggioranza dei voti corrisponde alla minoranza parlamentare. E non è possibile, in queste condizioni, evitare una delegittimazione della politica e soprattutto del Parlamento, più forte ancora di quello che già non sia.Sarebbe giusto partire da qui, nella discussione. Mettendo sul tavolo tutti i problemi veri di malfunzionamento della nostra democrazia, e discutendoli senza però essere guidati dall'ossessione della vittoria alle prossime elezioni. Altrimenti nessuna discussione è possibile.I 5 Stelle propongono il sistema proporzionale. Senza più sbarramenti e senza premi di maggioranza. In sostanza, mi pare di capire che chiedano un ritorno ai meccanismi politici della prima repubblica. Che in realtà non funzionarono male. Certamente il sistema proporzionale è il più democratico, nel senso che garantisce il grado massimo di rappresentatività. Però, in caso di multipartitismo, prevede che il governo sia determinato da un sistema di alleanze. E' curioso che proprio i 5 Stelle siano per il proporzionale, perché fin qui si sono sempre mostrati restii al sistema delle alleanze, anzi lo hanno sempre considerato un aspetto del malaffare compromissorio della partitocrazia.La questione, come si vede, è molto complessa. Rappresentatività e governabilità sono due valori entrambi molto alti e che però difficilmente si conciliano. Possono conciliarsi a una sola condizione: che vengano ben separati, e che venga - di conseguenza - ben separato il potere esecutivo da quello rappresentativo. Per separare questi due poteri occorre differenziare le fonti che li determinano. E cioè decidere che l'elezione dell'esecutivo - la scelta del governo - avviene con una consultazione elettorale diversa da quella che eleggerà il Parlamento. In parole povere: la democrazia presidenziale. Come succede negli Stati Uniti, e in parte anche in Francia. Dove il Presidente e il governo non sono espressione del Parlamento e non necessariamente dispongono della maggioranza in Parlamento. La politica italiana è pronta a un passo del genere? Probabilmente no. E questa è la ragione per la quale la battaglia politica sulla riforma costituzionale e sulla legge elettorale è così confusa e spesso molto ipocrita.