L’approvazione da parte del Parlamento del primo disegno di legge, con il quale si attua la revisione del sistema giudiziario, ha spaccato in due Israele.

Una situazione che rischia di far finire il paese in un tunnel senza uscita. «Ci troviamo di fronte - dice Ugo Tramballi, Senior advisor dell’Ispi ed editorialista del Sole 24 Ore - ad una delle tante leggi che vogliono togliere potere alla Corte Suprema, garante di una legge debole, la “legge fondamentale”, rispetto ad una Costituzione. Il cammino è ancora lungo, ma ci sono già delle indicazioni chiare».

Pomo della discordia è la “clausola di ragionevolezza”. Il disegno di legge che attua la riforma giudiziaria ha ottenuto lunedì scorso il voto favorevole della maggioranza parlamentare (64 su 120). È stata così polverizzata proprio la "clausola di ragionevolezza", vale a dire la possibilità per la Corte Suprema, in un paese il cui ordine democratico non si poggia su una Costituzione, ma soltanto su leggi fondamentali, di invalidare atti istituzionali giudicati "irragionevoli".

L’intervento legislativo è stato inoltre caratterizzato da un evidente conflitto di interessi per salvaguardare un importante esponente politico.

«Il governo – spiega Tramballi - ha insistito sulla “clausola di ragionevolezza” perché un uomo molto importante, Aryeh Deri, leader del partito religioso sefardita, è stato condannato per truffa, evasione fiscale e corruzione. L’ultima condanna risale ad un anno fa. Non è finito in galera perché si è impegnato a ritirarsi dalla politica. Oggi, invece, Deri, un evasore fiscale, condannato, sta per diventare il ministro delle Finanze. Quando hanno cercato, all’inizio di questo governo, nello scorso dicembre, di far passare Deri nel governo, la Corte Suprema si è opposta. Con la revisione del sistema giudiziario le cose cambieranno. Se tu vai in Israele si nota la nevrosi di un intero paese. Gerusalemme e Tel Aviv sono due città completamente diverse e sembrano appartenere a due paesi diversi. A Gerusalemme prevale la religione, Tel Aviv è una città avanzata, con grattacieli e high tech».

Tramballi studia la storia d’Israele da sempre.

L’origine degli attuali problemi non è casuale: affonda le radici nella storia. «Il problema di Israele – commenta l’esperto dell’Ispi - nasce con la sua fondazione. Nel 1948, quando nacque Israele, David Ben Gurion, leader del partito laburista, decise di non scrivere la Costituzione di Israele per non affrontare la spinosa questione del rapporto tra Stato e religione. Ben Gurion credeva che sarebbero arrivati dall’Est Europa e dai campi di sterminio ebrei, socialisti e combattenti. Arrivarono invece tantissime persone con una forte fede religiosa, i timorati di Dio delle varie sette. Venne fatta solo una “legge fondamentale”, che è incompleta rispetto ad una Costituzione vera e propria. Ecco, quindi, che i nodi oggi sono arrivati al pettine, considerato pure il fatto che la popolazione religiosa nel paese è aumentata sempre di più nel corso degli anni. Questa fetta di popolazione conta anche politicamente ed un partito religioso ha sempre fatto parte di un governo israeliano. Manca dunque quella legge che stabilisce dove vuole andare Israele».

Nell’analisi di Tramballi emerge il rapporto strettissimo tra il primo ministro e le forze politiche diventate negli anni intransigenti ed estremiste: «Bibi Netanyahu ha formato un governo in cui il Likud è diventato un partito sempre più religioso a dispetto della sua storia laica. Oltre al Likud ci sono i partiti nazionali e religiosi, che rappresentano pure i coloni, che fanno del Talmud la loro arma. Nel governo troviamo pure i partiti ultrareligiosi, che chiedono di non pagare le tasse, che pretendono interventi costanti a sostegno della popolazione. Tali partiti vogliono solamente che il paese diventi sempre più religioso in modo da preservare i loro interessi. In questa coalizione si è rafforzata l’idea di indebolire il potere giudiziario con una prevalenza del potere politico»

Le tensioni che stanno attraversando Israele preoccupano gli Stati Uniti, lo storico alleato.

«Israele – afferma Tramballi - si proclama come l’unica democrazia del Medioriente, ma non è vero. È una democrazia per gli ebrei. Esiste una parte della popolazione araba-palestinese, il 20%, con cittadini che possono essere considerati di seconda classe. È il paese che riceve più finanziamenti al mondo in ambito militare dagli Stati Uniti. Joe Biden quindi ha il diritto di richiamare Netanyahu. Il presidente statunitense non è contro le riforme, ma chiede che abbiano un sostegno il più ampio possibile. Gli Stati Uniti, visto che sono gli unici, grandi garanti della sicurezza di Israele hanno il diritto di intervenire rispetto a certe riforme. Gli interventi legislativi in cantiere rischiano di trasformare Israele in un paese simile alla Turchia di Erdogan».

In questo contesto le opposizioni protestano da mesi con manifestazioni in grado di coinvolgere centinaia di migliaia di persone.

Ma attenzione. «Il paese – conclude Ugo Tramballi - è spaccato. C’è la speranza che una parte di esponenti del Likud, che non sono estremisti, escano dal partito. I sondaggi dicono che se si andasse oggi a votare l’attuale maggioranza perderebbe, senza però una grande vittoria delle opposizioni. Un altro elemento riguarda le contraddizioni di Netanyahu. Con l’attuale governo sta smentendo tutto quello che ha fatto negli ultimi anni. La situazione venutasi a creare ha fatto emergere anche un altro aspetto rilevante. Fino a ieri Israele è stato abituato ad avere il nemico alle porte, si pensi alla Siria, all’Egitto, all’Iraq, che ha sempre unito l’intero popolo per una difesa senza esitazioni. Adesso il nemico è in casa e può essere distruttivo quanto gli eserciti. Rischia di spaccare irrimediabilmente la società israeliana».