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«Proprio come magistrato, mi rendo conto che devo a tutti delle scuse». Andrea Padalino oggi è giudice civile a Vercelli, ma ha un passato nel settore penale, che lo ha portato anche al ruolo di gip a Milano negli anni di Mani Pulite. Ha sessantun anni e vede la sua carriera di giudice scivolare lentamente verso la pensione. E’ vittima e giudice nello stesso tempo. Non è mai stato “carnefice”, ma ha dovuto subire lo scotto dell’ingiustizia, come se avesse dovuto pagare per tutti. Così ha capito, e oggi chiede scusa, cosa che nessun magistrato ha osato mai fare.
Lo scorso 8 novembre Andrea Padalino si è trovato a Milano davanti a una platea di commercialisti, a un convegno indetto dall’organismo di categoria (ODCEC) dal titolo “Assoluzione e onorabilità del professionista: come tutelare i diritti dell’innocente”. Ha raccontato la propria vicenda giudiziaria, professionale e umana. Ma ha voluto dire di più, e spiegare il perché del suo desiderio di chiedere scusa. Ho svolto il mio dovere di magistrato, ha detto «con l’orgoglio e la soddisfazione di non avere mai teoremi da dimostrare, nemici da incastrare, ideologie da assecondare, innocenti da perseguitare». Non è mai stato iscritto al sindacato delle toghe né a nessuna corrente. Forse con un po’ di ingenuità, credeva che la fedeltà ai principi costituzionali e l’onestà nello svolgimento del proprio lavoro lo avrebbero messo al riparo da tempeste come quella che gli è un brutto giorno cascata addosso a opera dei suoi colleghi. «Non avevo capito – dice oggi – che le falle del sistema di cui faccio parte erano molto più profonde e gravi di quanto credessi». Già, il sistema, che evoca la sorte e le parole di un altro magistrato colpito alla schiena da solerti colleghi, Luca Palamara.
Ma il giudice Padalino vuole scavare a fondo, con una confessione che gli fa onore, perché immaginiamo gli sia costata qualche sudore freddo. «In molte occasioni mi è capitato di sentire persone magari indagate, magari pregiudicate, magari impresentabili, magari per bene, lamentare di essere vittime di ingiustizie, di processi mal fatti e senza fine, di gogne mediatiche, di vere e proprie persecuzioni subite a opera di appartenenti a forze di polizia, spalleggiate dal magistrato di riferimento».
Cose di tutti i giorni che quasi non fanno più notizia, se non per ricordare le parole di un ex collega milanese del dottor Padalino, quel Pier Camillo Davigo che fu nel pool di Mani Pulite e che un giorno ebbe a dire che in un certo processo non c’erano innocenti, ma solo «colpevoli che l’hanno fatta franca». Il giudice Padalino ammette che anche la sua reazione era di tipo automatico e freddo. «Ho sempre pensato: sicuramente saranno lamentele pretestuose di colpevoli che vogliono passare per innocenti, critiche infondate, tentativi di farla franca a ogni costo”. Lo ammette, che anche lui, da giudice, era un po’ così. Forse era meno arrogante e non si sarebbe comportato come il suo ex collega di procura negli anni successivi, ma la mentalità, la cultura della gran parte delle toghe è quella. Poi, per questo magistrato che ai tempi di Mani Pulite, quelli dell’arroganza e della costante violazione delle regole, era giovanissimo a da poco, dal 1991, appena entrato in magistratura, il vento cambia. E si arriva al Padalino di oggi, un altro rispetto al giudice di ieri. “Ecco di cosa mi scuso. Mi scuso di aver ignorato le vittime innocenti di questo sistema: indagati, imputati, gente comune o eccellente, colpiti dal maglio di una giustizia di parte, autoreferenziale e proiettata verso un delirio di onnipotenza e in grado di distruggere vite e professionalità, di calpestare esseri umani, colpevoli solo di essere un facile e magari utile bersaglio, di umiliare e mettere alla berlina sui giornali e media compiacenti”.
Che cosa sarà mai successo a questa toga, da indurla a chiedere pubblicamente scusa solo per essere un magistrato che ha navigato in mezzo a questa melma che è il circo mediatico-giudiziario senza accorgersene? E’ successo che un bel giorno, mentre tranquillamente svolgeva il suo lavoro di pubblico ministero alla procura di Torino diretta da Armando Spataro, qualche giornalista amico di altre toghe cominciò a sussurrare il suo nome, un’allusione qua, un’intercettazione là. Una campagna di stampa lo accusava di fare parte di una “cricca”, e intanto a casa sua figlia di sei anni gli chiedeva “papà, ma cosa è l’abuso d’ufficio?”. E già, perché anche i bambini curiosano, si informano.
Andrea Padalino era indagato dagli stessi uffici in cui lavorava perché accusato di aver brigato, con la complicità di un ufficiale di polizia giudiziaria suo collaboratore, per far assegnare a sé alcuni fascicoli di indagine che riguardavano persone da cui avrebbe poi avuto vantaggi. Dobbiamo fare l’elenco, tanto è sempre lo stesso, delle “utilità” di cui avrebbe goduto? Ma il punto è che questo pm non è mai stato colto mentre commetteva atti contrari al proprio ufficio, ma sostanzialmente solo sospettato di aver “brigato” per farsi assegnare un certo fascicolo. E allora, in che cosa sarebbe consistito lo scambio corruttivo? L’altra anomalia, ha denunciato Padalino con il suo avvocato Massimo Dinoia, è che la procura di Torino ha agito con molta calma nel trasmettere gli atti, come prescrive l’articolo 11 del codice di procedura penale per le inchiesta che riguardano i magistrati, a Milano. Dove, sempre secondo la denuncia del magistrato, i due pm Laura Pedio e Eugenio Fusco a loro volta se la sarebbero presa molto comoda, sarebbero stati addirittura “inerti”, come se avessero delegato alla polizia giudiziaria di Torino la prosecuzione delle indagini.
Per questo il giudice Padalino, dopo aver portato a casa una assoluzione definitiva perché il fatto era inesistente, ha denunciato tutti alla procura di Brescia. Il gruppo dei pm torinesi per la violazione dell’articolo 11, e l’ex procuratore capo Spataro anche per la violazione dell’articolo 358, quello da sempre inapplicato che impone al pm di raccogliere anche le prove a favore dell’indagato. Avrebbe ignorato due relazioni dei suoi aggiunti che garantivano la correttezza del comportamento del pm Padalino nell’assegnazione dei fascicoli dell’ufficio. E i due milanesi, Fusco e Pedio, che nel frattempo erano anche stati promossi come aggiunti del procuratore capo, per una presunta negligenza nelle indagini. Per i magistrati ancora in servizio (Armando Spataro è in pensione) anche l’ipotesi che il ministro Nordio o il procuratore generale presso la cassazione avviino l’azione disciplinare presso il Csm.
Chi pagherà mai per i danni che subisce l’innocente, si è domandato il magistrato al termine del suo intervento. Chi pagherà per queste “indagini a volte superficiali o peggio alimentate solo da ambizioni di carriera, o dal desiderio di annientare soggetti considerati pericolosi, magari solo perché hanno costruito importanti realtà economiche in antitesi con altre evidentemente più tutelate...”? Io ho condiviso in questi anni, racconta ancora il magistrato, “con professionisti, imprenditori, politici, l’esser indagati e già condannati dai media sulla base di accuse inconsistenti, teoremi, prove raccolte illegalmente, con un uso assolutamente abnorme di intercettazioni e spese processuali ad esse relative che nessuno mai pagherà”. Chi renderà conto di tutto ciò? Nessuno, anzi qualcuno si, “pagheranno gi innocenti”. Per questo il giudice Padalino chiede scusa.