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Astolfo Di Amato
La campagna elettorale per queste elezione del 4 marzo 2018 registra una grande assenza: quella del futuro. Il futuro è assente in tutte le declinazioni possibili. È mancato, innanzitutto, il futuro prossimo. Il futuro, cioè, legato ad una visione riformista della società, che prenda in considerazione quali snodi del vivere collettivo, sul piano istituzionale e sul piano delle prassi sociali, debbano essere modificati per rendere la società più eguale, più libera. La parola riformismo, difatti, è stata una di quelle meno usate nei discorsi dei leaders. Ma è mancata anche il futuro più lontano, anche se non lontanissimo. Lo sviluppo della tecnologia e della bio tecnologia ( sembra che ci si avvicina addi- rittura alla clonazione dell’essere umano!) pone interrogativi urgenti in ordine alle regole etiche, prima ancora che giuridiche, con cui l’umanità deve affrontare gli anni a venire. La certezza, ormai, è che gli imprevedibili frutti del sapere scientifico irromperanno nella quotidianità delle persone senza che l’umanità abbia un quadro di riferimento per poterli gestire. Diventandone, cosi, succube invece che padrona.
È istintivo, in una situazione del genere, attribuire la responsabilità ai leaders politici ed in genere ai partiti. Sono loro che stilano i programmi, sono che lanciano gli slogans sono loro che fanno i discorsi nelle pubbliche piazze o nei salotti televisivi. Dando ogni colpa alla politica ciascuno si libera delle proprie colpe e delle proprie responsabilità. Ma non è una visione corretta. In realtà i leaders ed i partiti politici hanno antenne nella società e, nella ricerca del consenso, cercano di interpretare quelli che sono gli umori della stessa. Il senso di insicurezza, la paura del futuro, la paura degli immigrati, il giustizialismo come difesa radicale contro ogni iniquità, non sembrano essere il frutto dell’elaborazione delle elites politiche, bensì il sentimento diffuso al quale i leaders che vogliono emergere devono agganciarsi.
La povertà di questa campagna elettorale, dunque, esprime innanzitutto una povertà del corpo elettorale. Che, certamente, secondo le regole della democrazia, ha sempre ragione. Il che, tuttavia, non toglie che anche il corpo elettorale possa avere le sue colpe e le sue responsabilità.
In questa prospettiva il problema di fondo della società, non solo italiana, è il recupero di una capacità di riflessione, di analisi profonda e di visione del futuro. Vi è l’esigenza che il corpo sociale, prima ancora che la politica, ricrei al proprio interno strutture che siano capaci di restituire un momento di autentica consapevolezza in ordine al futuro. Le sezioni dei partiti non esistono più e, probabilmente, non esisteranno più. Anche i giornali, specie quelli ad impronta chiaramente politica, sono stati devastati. Alla ricerca degli sprechi da eliminare, si è pensato bene di eliminare i finanziamenti alla stampa, sorretti da uno scandalismo miope. E così è avvenuto che è venuta meno anche quella sede di elaborazione critica del pensiero e anche i giornali si sono appiattiti sugli umori, cercando di vellicarli invece che di guidarli.
Insomma, la campagna elettorale appena conclusa indica che, nella società italiana e probabilmente in tutta la società occidentale, è in atto una crisi culturale profonda. Ed è questo il reale problema dei nostri tempi.