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Pejman Abdolmohammadi
Pejman Abdolmohammadi insegna Relazioni internazionali del Medio Oriente nell’Università di Trento. Il professore italo-iraniano è stato protagonista di un incontro dedicato al ruolo degli avvocati e dei giudici per la tutela dei diritti fondamentali, durante il recente Congresso giuridico forense organizzato a Roma dal Cnf.
Professore Abdolmohammadi, prima di tutto, quali notizie le giungono in questi giorni dall’Iran?
La situazione in questo momento possiamo definirla di sospensione, nel senso che ci sono tantissime persone ancora in carcere dopo le proteste di piazza. Ci sono stati anche dei provvedimenti di grazia e migliaia di persone hanno potuto ritrovare la libertà. Restano però nelle carceri circa cinquemila persone, tra queste soprattutto giovani e una decina di avvocati.
La questione dei diritti umani non riguarda solo i dissidenti, ma anche i loro avvocati impegnati a difenderli. Le difficoltà non mancano?
Proprio così. Uno dei problemi principali in Iran in questo momento è quello di riuscire ad esercitare nei confronti dei manifestanti, soprattutto quelli più giovani che sono stati arrestati, un adeguato diritto di difesa. Spesso il diritto di difesa è impedito o reso difficoltoso. Gli avvocati d’ufficio che vengono assegnati fanno parte dell’entourage della Repubblica islamica. Questa situazione fa sì che gli avvocati di fiducia abbiano difficoltà a difendere al meglio i manifestanti arrestati in questo periodo.
In Iran il diritto di difesa è messo a dura prova per non dire violato?
Non sarei così netto e farei delle distinzioni in base alle varie vicende che commentiamo. Il diritto di difesa nei casi delle manifestazioni politiche è sicuramente sottoposto a delle compressioni. Nel diritto civile, nelle controversie che riguardano questa materia, non possiamo dire che sia negato il diritto di difesa. Il sistema giudiziario è sempre inquadrato nella cornice islamica e cerca di funzionare tenendo conto delle varie esigenze e problematiche che può avere ogni sistema giudiziario. Il problema dell’esercizio del diritto di difesa è emerso in riferimento alle manifestazioni di protesta alle quali stiamo assistendo e alla critica alla Repubblica islamica. I manifestanti non hanno avuto la possibilità di scegliere liberamente i loro difensori, tra questi anche i quattro eroi per la libertà, giustiziati pochi mesi fa.
Le difficoltà riguardano anche i giudici che vogliono mantenere un atteggiamento indipendente e vogliono agire con imparzialità? I giudici sono sottoposti a pressioni?
Nel caso dei giudici parliamo di una situazione un po’ diversa rispetto a quella degli avvocati. Stiamo parlando di un sistema in cui opera una magistratura islamica, diversa dalla magistratura laica. Dunque, i magistrati di per sé fanno parte del sistema della Repubblica islamica, dato anche che sono nominati in un sistema verticistico. Per gli avvocati, invece, le cose cambiano, in quanto fanno parte di una categoria professionale più indipendente. Ecco perché per i magistrati è difficile inquadrarli in un sistema di indipendenza, così come lo intendiamo noi in Italia. In tale contesto se ci sono dei magistrati indipendenti è chiaro che sarebbero in difficoltà per il tipo di impostazione al quale ho fatto riferimento poco fa.
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha espresso “personale indignazione” per la repressione delle manifestazioni a Teheran e nelle altre città iraniane. Ieri ha ascoltato con attenzione, durante la sua visita a Potenza, la testimonianza della giovane Pegah Moshir Pour. L’Italia e la comunità internazionale sono al fianco dei giovani iraniani. il cambiamento è ancora lontano?
Il Presidente Mattarella, non soltanto ieri, ma anche in altre occasioni è stato uno dei pochi importanti uomini di Stato a livello internazionale ad esprimere profonda sensibilità verso il tema della violazione dei diritti umani che riguarda i giovani e le donne iraniane. A differenza di una parte dell’élite europea, che ha cercato in qualche modo di essere più diplomatica, il Presidente Mattarella ha sottolineato in modo specifico che di fronte alla violazione dei diritti fondamentali il mondo libero non può essere silente. L’intervento del nostro Presidente è molto importante. Spero che sia di ispirazione per altre cariche europee, troppo timide di fronte ai giovani e alle donne che hanno perso la vita in Iran e che perdono la vita in nome della libertà individuali.
Quale futuro vede per l’Iran?
Siamo di fronte ad una prospettiva di un cambiamento epocale ed importante. Siamo già di fronte ad una rivoluzione culturale, ad un “Rinascimento iraniano”. È in corso una rivoluzione culturale ma non ancora politica, dato che la Repubblica islamica esprime il potere. Stiamo inoltre assistendo ad un cambiamento strutturale dei codici valoriali della società. Quella iraniana è la società civile più laica del Medioriente e del Nord Africa. Il popolo vuole la separazione della religione dalla politica.